FOTO DELLA COPERTINA DEL CATALOGO DELL'ARTE MODERNA
"GLI ARTISTI ITALIANI DAL PRIMO NOVECENTO
AD OGGI",
NUMERO 45, EDITORIALE GIORGIO MONDADORI.
All'interno riporta le notizie che mi riguardano:
Pag.216: indirizzi, foto della scultura in bronzo "FAMIGLIA";
pag. 217: nota biografica; SEZIONE QUARTA: PROPOSTE ARTISTI 2009/ 2010,
pag. 63: ANGELO DI MARIO, CRISTO, indirizzi. |
Clicca
sulle immagini per ingrandirle |
|
|
|
La foto del "CRISTO" in bronzo, è ospitata,
nella SEZIONE QUARTA - PROPOSTE 2009/2010.
Secolo Arte Secolo d’Italia – Mercoledì
9 luglio 1980. La visione di Angelo Di Mario tra originalità e
purezza. Discorso sulla scultura di Luigi Tallarico
Foto: Angelo Di Mario: ceramica bianca
L’ASPIRAZIONE ideale della scultura del Novecento, dopo l’invito
di Arturo Martini a non dismettere il modulo eterno della figura umana,
in una plasticità, se vogliamo, colta, raffinata, modellata, ma
fuori dai calchi del naturalismo, non poteva che confermare, nei momenti
costruttivi più concreti, la vocazione rinnovata di una civiltà
mediterranea, che ha trovato il suo sbocco nella reinvenzione di una cultura
archeologica, oppure nell’interpretazione poetica di un arcaismo,
rivisitato dalla purezza plastica. E abbiamo così avuto i grandi
esempi, da una parte, della sapienza archeologica di un Marino Marini
e, dall’altra, della conchiusa misura del torso di Alberto Viani
in una purezza quintessenziale e normativa. Ma anche materia tensiva nello
spazio e pura forma che coltiva in sé lo spazio, come luce senza
sorgente o come tensione vitalistica interna.
In conseguenza, il bisogno manifestato dalle sculture in ceramica di Angelo
Di Mario di unificare le diverse dimensioni, che attengono alla materia
plastica e allo spazio “distinto”, in una continuità
ideale e in una serrata decantazione, servita fino alle soglie della purezza,
non fa che obbedire a questo punto di partenza (e di arrivi) della cultura
archeologica, come formulata dal grande trevigiano. Solo che Di Mario,
avvertito da una conoscenza figurativa plastica e sollecitato da una interpretazione
poetica, ha preso a prestito, non solo l’idea della forma, se vogliamo
organica e con tutte le risorse della materia e le implicazioni spirituali
illimitate, ma anche l’arcana simbologia di un ritmo, di una tensione,
di un concavo-convesso godibile come uno spettacolo godibile come uno
spettacolo plastico e composto da più figure concatenate dalla
stessa polivalenza tensiva ed espressiva, servita fino all’astratta
purezza, per completare il modulo ideale della “sua” forma
plastica.
Con il risultato evidente di non scongiurare il volume concluso e coerente
(la “scultura essenza” come la prefigurava il trevigiano)
e di offrire altresì al manufatto archeologico e plastico la possibilità
di una interna rivisitazione dello spazio e della luce, sicché
nei volumi cavi il gioco delle penombre consente arcane interpretazioni
e nello stesso tempo tramuta, in una incorporea sostanza, la materia,
verificata da una plurispazialità che penetra nelle superfici bianche
delle convessità, senza alterare la purezza dei contrasti.
La difficoltà avvertita da Martini di risolvere la”questione
della luce”, come lui la chiamava, con le possibilità espressive
a sua disposizione, avendo di mira il problema dell’essenza, cioè
dell’unità dell’immagine, viene ribaltata da Di Mario,
mediante lo scorporo della materia, che consente di raggiungere con un
senso pittorico la presenza della luce e dell’ombra, che non potrebbero
essere altrimenti realizzate con i mezzi concreti della plasticità.
I “volumi negativi”, come appunto Melli chiamava lo scorporo
della materia, consentono invece quella morbidità del punto di
vista, a cui la scultura, come l’architettura, ha sempre mirato,
nell’intento di affermare le infinite virtualità che l’ambiente
offre alle diverse osservazioni. Con il risultato di assicurare alla “scultura
essenza” quella morbidezza di passaggi tra interno-esterno, nel
gioco di luce-ombra, ma anche nel variare del ritmo dei piani che dalle
cavità affiora nella superficie levigata e solo interrotta dallo
snodo organico della materia.
In questo contrasto, tra l’anelito verso una purezza che, depurando
ogni descrittivismo rappresentativo sembra allontanare la “contaminazione”,
e tra il bisogno di riproporre il ciclo vitale in quelle cavità
ove sembra lievitare, tra luce ed ombra, la misteriosa visione dell’uomo
di ogni tempo, in un contrasto di sedimentazioni memoriali e di eventi
sconosciuti, la scultura di Angelo Di Mario esce dallo scavo archeologico
e affronta nella purezza levigata della forma il senso vitale e lirico
della vita.
Luigi Tallarico
|
|
|