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SELVANS SANCHUNETA CVERA
"Silvano ordinatore. Per grazia."
BOLSENA
SÉL-a-s ‘splendore’
> FEL > VEL > VEL-u-s > VEL-u-sa > VEL-u-s-la > VEL-s-na
> VEL-z-na > *VOL-s-na > *BOL-s-na > BOL-s(e)-na
Esponiamo
cenni veloci e significativi: uno geografico, tratto da Ps. Aristotele
(ed. Firmin-Didot. Aristotelis opera omnia graece et latine, v. IV, De
Mirab. ausc. 94, Parisiis, 1857): “Esiste una città in Etruria…
che è fortissima. In mezzo ad essa si eleva un colle alto, ….
e in basso c’è una selva foltissima e acque.” Il colle
è quello chiamato VIE()-te-na (*VJEL-t-na); le acque, esprimono
una idea corposa; l’espressione suggerisce perciò il Lago
di VELzna.
Due che riportano elementi storici, come questi che
seguono: da la Repubblica, La Storia, V. 3, pag. 214: “Nel 265 i
Romani, chiamati in aiuto dagli aristocratici di Volsinii (Orvieto era
altro, se stavano accampati nei pressi) (quindi non ad Orvieto; non è
Orvieto), che ne erano stati espulsi dopo il sopravvento che vi avevano
preso i liberti, espugnarono la città, LA DISTRUSSERO, TRASFERENDO
LA POPOLAZIONE IN UNA NUOVA SEDE, A VOLSINII NOVA (Bolsena), e ridiedero
la preminenza agli stessi aristocratici dopo aver CROCIFISSO I LIBERTI
(nell’area sacra di Sant’Omobono a Roma, dove sorgevano i
templi della Fortuna e della Mater Matuta, fu eretto un monumento al trionfatore
M. Fulvio Flacco, singolare per le numerose statue di bronzo, ca. 2000,
ivi trasferite come bottino fatto nel tempio federale etrusco di Fanum
Voltumnae, e delle quali si sono identificate le impronte).
Da Zonara (Epit. Hist., VIII 7, a.c. di Moritz Eduard – M. E. Pinder,
to II, p. 129, Ed. Weber, Bonn 1844) si forniscono ancora notizie politiche
e militari; si riportano le trame antecedenti la guerra, infine si termina
con: “I Volsiniesi, sconfitti di nuovo, si ritirarono dentro le
mura, poi, costretti dalla fame, si arresero. Il console, tormentandoli,
uccise quelli che avevano oltraggiato l’onore dei signori, e distrusse
la città; i gentili, e in verità quelli dei domestici che
erano stati buoni con i signori, li fece abitare in altro luogo.
Come affermare che a Roma il console ci portò
chissà quali e quante ricchezze, oltre a 2000 statue, e riguardo
ai vinti, trasse con sé soltanto i morituri designati, adatti allo
spettacolo; invece gli oltraggiosi li aveva già ammazzati a Velzna;
e il resto della popolazione l’aveva lasciata salva; se è
vero che ad essa, composta da aristocratici e domestici fedeli, permise
di abitare in altro luogo (a Bolsena).
Ma è altrettanto interessante ciò che
afferma Plinio il Vecchio, parlando dei fulmini, riferisce che Volsinii
fu totalmente bruciata da un fulmine; questo dato qui mi sembra un’informazione
notevole; palesa l’accortezza perspicace del potere, che fatta una
atrocità, la addebita ad altri, ma anche al cielo, al volere della
divinità; deve essere nata dall’impresa militare dei Latini,
che la rasero al suolo, magari utilizzando il Plurifulminante Giove per
l’operazione finale. Altra notizia da interpretare correttamente
è quella rilevabile dalla tomba François di Vulci (IV sec.
a. C.); lì tra le scene raffigurate vi compare Laris Papathnas
Velznach, cioè ‘Laris di Papathna, (nativo di) da Velzna’.
Da non trascurare, infine, Plinio il Vecchio, che nella Naturalis Historia
(36.168) scrive che il lago era situato in territorio tarquiniese, ma
si chiamava lacum Volsiniensem; non lo definisce Orvietanum.
Sappiamo che la città, cinta da mura, forte, estesa, importante,
era anche un centro politico-religioso, luogo in cui si ritrovavano le
‘Dodici città’, dove i fedeli esprimevano la loro fede
raccolti in un complesso, in seguito detto latinamente Fanum Voltumnae.
Ma sono in molti a testimoniare quel periodo, in particolare Zonara, che
ci dà notizie sulle modalità di conquista di Velzna, suggerendo
anche indizi tralasciati da Tito Livio; il quale, però, ne testimonia
la grandezza, quando, tutte insieme queste città etrusche le definisce
validissime: (X, 37, 4) tres validissimae urbes Etruriae capita, Volsinii,
Perusia, Arretium pacem petiere; et vestimentis militum frumentoque pacti
cum consule, ut mitti Romam oratores liceret, indutias in quadraginta
annos impetraverunt. Multa praesens quinquentum milium aeris in singulas
civitates imposita.
‘Tre città molto potenti, capitali dell’Etruria, Volsinii,
Perugia, Arezzo, cercarono la pace; e con l’offerta di abiti militari
e granaglie pattuirono con il console il permesso di inviare a Roma negoziatori
per ottenere una tregua di quarant’anni. Fu imposta una penalità
immediata in contanti pari a cinquecentomila assi per ciascuna città’.
Ma nel 280, insieme con Vulci, si riaccende la guerra
contro Roma; poi ancora nel 264, quando M. Fulvio Flacco la rade al suolo;
portando a Roma nientedimeno che le duemila statue che sappiamo! Nonché
i servi da sacrificare; proprio quelli che non erano rimasti fedeli ai
loro signori, quindi gli altri, i fedeli, con i signori fedeli (a Roma),
l’avranno dovuti lasciare in patria, come ce lo conferma Zonara.
Anche questo indizio testimonia per un limitato spostamento di certa gente
peggiore, non di tutta quella sopravvissuta, che deve essersi accampata
sparsa per i campi (è accettabile, anche nei pressi di Orvieto),
fuori dalle Mura, in attesa di recuperare qualcosa; ad esempio potere
e prestigio, per i nobili fedeli. Bisogna ammettere che verso il lago
dovevano esistere approdi, anche abitazioni; quindi uno spazio fruibile,
non maledetto, da occupare; forse giusto l’area permessa; così
fuori dalla robustezza delle Mura non poteva che offrire asilo per i soli
fedelissimi, accalcati lì per ripristinare una certa normalità;
e sicurezza per i Latini, con gente ormai inerme, allo sbando, senza più
storia, dinanzi ad un diverso, ignoto futuro latino. Ecco il significato
per la non troppo vaga affermazione di Zonara “i notabili, e in
verità quelli dei domestici che erano stati buoni con i signori,
(il console) li fece abitare in altro luogo”; vuol dire che trasferì
in un luogo diverso gli abitanti sopravvissuti; dal significato chiaro,
ammissibile, preciserei: “trasferì in altro luogo, fuori
le mura, quei soli abitanti, schiavi e signori, che erano rimasti fedeli
a Roma”; già protetti dall’esercito romano, fino alla
fine della guerra, quando fu necessaria una risistemazione per i superstiti;
quindi vennero condotti in un luogo diverso solo i fedelissimi, appena,
appena fuori dallo scempio della battaglia risolutiva. A Roma ci portarono
ben altro: cimeli per la gloria, e sacrifici espiatori.
Orvieto, come è evidente, non esiste tra le notizie
riferibili a questa città, se non che qualcosa accadde ‘presso
Orvieto’; e poi quando mai fu distrutto; quando mai ebbe bisogno
di mura, situato com’è sopra un simile dirupo imprendibile;
inoltre deve essere stata sempre una città quieta con i forti,
se non corse mai gravi rischi. Poi, se era collocato a Velzna, non poteva
trovarsi anche a Orvieto ‘Città vecchia’; per questa
ragione non avrebbe dovuto possedere un passato. Lo condanna invece la
continuità dei reperti; significa che non subì una drastica
interruzione a causa di quella, o di altre guerre; infine, se dentro quelle
mura non c’era né Orvieto, né Velzna, quale popolazione
circondavano? Io penso che solo uno dei due nomi va posto lì dentro;
proprio quello che la fonetica indica come derivato dal dio velsinio VEL
‘Sole’.
Si accampano pretesti per lo scarso ritrovamento di
reperti nei dintorni di Bolsena, riferibili a quell’epoca; ma se
fu rasa al suolo persino con un fulmine divino; se trasferirono a Roma
2000 statue! Oltre che nel Fanum, essendo così numerose, devono
averle cercate dovunque, grandi e piccole, anche tra le dimore degli usurpatori,
che per certo avevano depredato le dimore dei patrizi; anche questo era
un segno qualificante, quello di togliere ai potenti potere e ricchezze;
Zonara dice che alcuni furono ammazzati; prima i rivoltosi, e poi i soldati,
avranno abbattuto persino le tombe gentilizie, depredandole; senza trascurare
che tra quelle colline, abbracciate da una difesa muraria ormai inutile,
chissà quanti avventurieri vi hanno attinto da ogni parte intorno,
indisturbati, con l’accortezza dello ‘scava di notte e ricopri
con cura di notte’, facendo perdere nella notte i reperti che si
vorrebbero ora nei musei; infine, chissà quanti preferiscono ancora
il Fulmine, per tacere ciò che è facilmente immaginabile,
tenuto conto che con tale distruzione fu messa fine alla prima grande
civiltà europea, quella romano-etrusca, maestra dei Latini; e non
è poca cosa. Non mi pare da sottovalutare l’enorme valore
politico e militare di quell’azione definitiva; da dimenticare subito
a causa dell’enorme impatto sociale e religioso; come capita ancora
oggi per tante gravi trame politiche e militari; per le quali in molti
preferiscono non capire; in molti capiscono altro, per non capire.
La Soprintendenza dovrebbe possedere una particolareggiata
fotografia aerea; dovrebbe di nuovo rivisitare quei luoghi, con il preciso
intento di scavare sotto le mura con l’occhio scientifico del carbonio
14, allo scopo di riconoscere la necessità pratica e storica di
esse, collocabili solo all’epoca in cui furono erette tutte le altre
che ancora circondano città vive. A meno che si continui a cercare
di acquietarsi sui silenzi politicamente colpevoli degli storici antichi;
e si cada nell’attrazione fatale di Orvieto, da nessuno nominato
come implicato in quella guerra e tra quelle mura. A meno che si voglia
continuare a insistere con le irrilevanti illazioni, a domandarsi su chi
abitasse là dentro; ma se Orvieto stava lì dentro quelle
mura, è impossibile che fosse stata anche nel luogo che conosciamo,
ossia nella vantata ‘Città Vecchia’; la sua storia,
su quei dirupi, dovrebbe cominciare dopo, quando è scomparsa Velzna,
non prima e dopo; se invece i suoi reperti testimoniano per una continuità
nel tempo, non esistono due tempi; non poteva risiedere a Velzna, priva
di continuità. O era Velzna, e non esisteva lì Orvieto;
o esisteva Orvieto e Velzna, separatamente.
La discontinuità di quest’ultima, di Velzna, spiega invece
il prima derubato e distrutto pesantemente; e il dopo, tra i pochi sopravvissuti,
privati di ogni bene; che devono ricostruire a poco a poco, ma ormai sotto
il vessillo romano, con iscrizioni che non parlano più etrusco,
ma solo latino. Questa è la frattura insanabile, causata dalla
guerra, e dalla successiva rinascita di un piccolo borgo ormai latino.
Io ho insistito, insisto sempre con le analisi fonetiche,
perché con esse si riesce a ripercorrere l’iter di ogni parola;
si tratta di cocci fonetici, anch’essi ricchi di echi, cenni, frammenti,
e testimonianze; con questi cocci sonori si è in grado di rattoppare
molti vasi di civiltà, di capire che la forma ittita UILusiia/
VILusija (O. R. Gurney, Gli ittiti), anteriore alla traduzione greca ‘FÍLios/
ILio’, restituisce una sicura variante del nostro più esatto
velsinio VEL ‘Sole’, con la sua sequela di derivati del tipo
VEL-u-s, VEL-u-sa, VEL-u-s-la, VEL-u-s-na…, e tra questi appunto
la nostra VEL-s-na/ VEL-z-na, la seconda ‘ILio’ ricostruita
sul Lago di Bolsena, per ricordare la patria d’origine, situata
non lontano dall’EL(l)-è-s=PO-n-tos, ossia da “di *VEL=mare/
Mare di VEL = Sole”; come accaduto per quelle città riconducibili
invece al dio hurrita TE-shub ‘dio del THE/ Luce’ (O. R. Gurney,
v. s.), divenuto in eteo TA-rhui (P. Meriggi, Manuale di eteo geroglifico),
altrove detto Tarhunta, Tarhunza, *Tarhuncha/ Tarchna; proprio da questa
divinità trassero origine il popolo dei Tirseni/ Tirreni, e anche
le città di Tartesso (in Spagna),Tarquinia, e Tuscania ( *TA-rh(u)-tes-sa,
*TA-rh(u)-chjn-nja, e *TU-sh(u)-chan-nja), per la sua evidente radice
che abbraccia, spiega anche altre città e località anatoliche,
dico Taruui(s)sa ‘Troia’, Tarhuntassa, Dattassa, il paese
detto Trimmisn (‘di Licia’), e Tarne < *Tarhusne (che divenne
poi Sardi, appena i Lidi conquistarono la Tirrenia e cacciarono via i
*Tarhusenni/ Tirseni, con Tirreno ovviamente a capo dei suoi esiliati,
vittima della sconfitta subita, e del tira a sorte truccato per la volontà
del vincitore; leggere Le Storie di Erodoto, se non è verità).
E non si dica che i cocci fonetici non possono essere
presi in considerazione, anche se privi di cottura, sono invece ricchi
di indizi, in particolare di sbagli rivelatori. Il tirseno RI-l < *RI-ls,
indica ‘soli > anni’; non vi pare di scoprirci il famoso
dio RA ‘Sole’, con tutto il suo cocciame sparso per il mondo:
tirs. RA *RA(ssa)/ il RO(sso)/ il Sole’, e RA-th-lth ‘RA-dio-so/
RA-ggia-n-te’, sab. RU-fus, lat. RU-ber…, persino il troppo
alterato gr. (e-)RU-th-rós < *RU-s-sos ‘simile a/ colore
di RA’, compreso il ted. RO-t, il lidio bo-R-lL, da *F-RI-s()s ‘anni’….;
senza tralasciare il nostro RO-s-so.
Testo lidio: ( (1*) boRlL X ArtaksassaL paLmLuL dan) (1) (o)raL islL bakillL…
(usavano l e il lambda greco) “( (1*) Nell’anno X di Artaserse,
il re), al tempo della stagione seconda di Bacco…” (J. Friedrich,
decifrazione delle scritture scomparse, pag.122)
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