REPLICA all’intervento di G. M. Facchetti.

   Rispondo con i fatti a quell’articolo del Facchetti, apparso su archeomedia.net (Studi e Ricerche, 1 e 3), contro la mia inammissibile e inaccettabile recensione per il suo libro su “CRETA Minoica”, scritto in collaborazione con M. Negri, Ed. Olschki; intervento tutto contro quel certo mio lavoro, persino contro la mia persona, senza mostrare di aver compreso alcunché. Chi pensa che mi abbassi a simili palesi sfalamponate confusionarie, si sbaglia; mi limito a riconfermare alcune traduzioni già pubblicate, a precisarle, a proporre elementi nuovi, dove occorre; il lettore giudicherà se l’esito va considerato frutto di inesperienza, immaginazione, se è paragonabile, se superi lo sforzo, lo sfoggio di chi è vestito con la toga, fornito di molte placche accademiche.
Ecco due iscrizioni su tavola di libagione, tratte da “Testi Minoici Trascritti” (TMT), a cura di Carlo Consani:
10 Za 2:
Tavola di libagione inscritta sulle quattro facce laterali, sulle prime due delle quali la scrittura è disposta su due linee sovrapposte; segni dalle forme eleganti ed accuratamente incise:
.1 .a a-ta-i-*301-wa-ja , .b ja-di-ki-tu , ja-sa- -c -sa-ra-(me , u-na-ka-na-) -d -si , i-pi-na-ma ,
.2 .a si-ru-te . ta-na-ra- .b -te-u-ti-nu , i- -c -da-( -d vacat
Riscriviamola con parole correnti:
atai*301waja jadikitu jasasarame unakanasi ipinama sirute tanarateutinu ida- -d vacat
“Chiunque offenda la Signora si uccida con il taglio della testa per la cerimonia dei morti, oppure…”
PK Za 11:
Tavola di libagione inscritta sulle quattro facce laterali sotto il bordo superiore. La superficie è assai rovinata; il ductus delle lettere non è particolarmente curato anche se le forme appaiono abbastanza stilizzate.
.a a-ta-i-*301-wa-e , a-di-ki-te-te-(.)
.b (.)-da , pi-te-ri , a-ko-a-ne , a-
.c -sa-sa-ra-me , u-na-ru-ka-na-ti ,
.d i-pi-na-mi-na si-ru-(.) , i-na-ja-pa-qa
Riscriviamola:
atai*301wae adikitete(.) (.)da piteri akoane asasarame unarukanati ipinamina siru(.) inajapaqa
“Chiunque compia sacrilegio, atterri l’icona di Assara, sia ucciso con il taglio della testa o con la corda.”
Da cosa nasce questa interpretazione: atai()wae, ad esempio, non pare al Facchetti che anticipi la variante greca óstis án, étis an, ó ti án? Che rappresenti una forma originaria cretese, ovviamente molto antica, di sicuro, ma troppo simile, colta da me con scansa tentazione immaginativa? a-DIK-i-tu, a-DIK-i-te-te, (a-DIK-i-te-te-du-Bu-re < *a-DIK-i-te-te-tu-Fse; PK Za 15), come si fa a inventarseli, se sfondano la vista per l’evidenza; non pare, senza alcuna immaginazione, non è il gr. a-DIK-è-o? Qualcuno potrà dire ‘ma le desinenze -tu, -te-te, persino -te-te-tu-se, chi mai le conosce?’ Rispondo: e i latini non usavano ancora la desinenza -t per -ti, dall’originaria -si, nei verbi? E i dorici non dicevano dí-DO-ti ‘dà-lui’ al posto dell’autentico di-DO-si? In osco non coniugavano il latino TER-mi-na-Ve-Ru-n-t(i) con un bel TER-e-m-na-T-Te-n-s(i), ossia con voce a un passo dall’arcaico *TER-e-m-na-S-Se-s-si; senza contare il licio (voci tratte, direi, dalla ‘Trilingue di Arnna/ Urbe’, anziché di Xanthos), queste forme verbali: sennentepddehade (designarono), il quale verbo purificato, va letto *semneteFteFate, con -te-te-te; così mehntitubede (si pose), purificato, risulta essere *FentituFete, anch’esso con -tu-te, al posto delle desinenze originali -si/ -se, -si-si, -si-si-si….; lingua oltremodo interessante perché restituisce, anche, la struttura quasi autentica dell’arcaico nome di ‘città’: eteo HAR-na(-si) ‘città’ (P. Meriggi, Manuale di eteo geroglifico, MEG), licio AR-n-na ‘città’ (AR-()-n-na-()i ‘cittadini’), dal presumibile luvico *AR-i-s-sa > AR-i-n-na/ AR-()-n-na > AR-a-t-ta; questo termine, in seguito variato con A > U, riscopre la presumibile uscita *UR-u-Fi-s-sa > *UR-u-Mi-n-na > UR-u-Mi-na (MEG) < *URFna ‘Urbino’, compreso il lat. UR-B-s, ed il sumero UR-u; com’è chiaro, quest’ultima testimonianza, costituita quasi dalla sola radice, la giudico più recente, checché ne possano arguire gli amanti dei Sumeri, per quei fortunati cocci cotti dagli incendi delle guerre, quei copiatori della civiltà di Aratta (Helmut Uhlig, “I sumeri”, Garzanti; da leggere il conflitto tra “Enmekar e il signore di Aratta”), dico gli Europei delle montagne, che scrivevano su materiali deperibili, come tavolette di legno; sapevano persino leggere le lettere minacciose del re Enmerkar, redatte su creta, come su una tavola; ma gli Europei scrivevano anche su creta, se consideriamo i Minoici; alcuni sappiamo ostili alla scrittura, difensori dell’oralità, ancora all’apparire della civiltà occidentale, nonostante il costante elevato grado raggiunto, che non può nascere all’improvviso, ampiamente rivelato dalla molteplice e profonda espressione del mondo ellenico, ancora alla base del nostro modo di pensare criticamente. È a questa radice AR/ UR, che potremmo accostare, concepita prima dell’introduzione della O, la città di origine anatolica, portata dai Tirseni, individuabile come *AR-vie-ta ( *UR-Fie-ta)/ OR-vie-to, la cui cultura, dopo tanti secoli, ancora ricorda l’OR-vi-/ UR-bi, come ‘città’, sbagliando però nel supporre la finale -vi replicata ottenendo *OR-vi=ve-tus ‘città vecchia’, ma non serve il -ve-tus, la composizione designava solo una varianza del nome arcaico, considerandolo un po’ simile ad *AR-iFe-t-ta ‘città’; per questo ci unirei anche *AR-ta/ OR-te, *AR-ewa-s-sa/ AR-e-z-zo, compresa la confederazione asianica di AR-za-wa, tutte con il significato di ‘CASE > Urbe/ città’, molto più indoeuropea quell’*AR-a-s-sa che l’*UR-Fss e ancora di più, direi, quel copiato, ma più famoso, sumerico UR-u, per la sua fortuna di creta.
Soffermiamoci un po’ su ciò che significavano le parole riferibili a quegli antichi abitati, all’intrigo significativo, offerto dalla Trilingue di Xanthos: 6-7/ sey-epewellmmei Arnnai ‘e gli epi-auli (peri-eci) e i cittadini’ = 5-6/ Xanthiois kai tois perioikois ‘ dagli Xanthi e dai peri-eci’; 13-14/ sey-epewellmmei ‘e gli epi-auli’ = 12/ è pólis ‘la città’; 20/ Arnna ‘la città’ = tés póleos ‘della città’; 32/ sey-epewellmmei Arnnai ‘ gli epi-auli e i cittadini’ = 27-28/ Xánthioi kaí oi períoikoi ‘gli Xanthi e i peri-eci’; innanzitutto scopriamo che usavano ora Xanthos, nome del fiume, ora l’appellativo UR-Bs, come se scegliessero tra Tevere e Urbe. Ciò ci fa considerare i significati e le corrispondenze, nonché l’incertezza: le parole gr. AÚL-io-n, AÛL-i-s indicano anche ‘casa’, derivano da *Faulis, come ci attesta la varianza F > P > 0 che ci fa capire la notissima PÓL-i-s ‘case > città’, ma anche PAR-na > AR-na ‘casa’ con l’estensione ittita PAR-na-s-sea suwaizzi (F. Imparati, Le leggi Ittite, LLI) ‘quelli di casa/ i familiari si salvano’, ci fa intuire *AR-a-s-sa > ARnna, già spiegato, esso comprende il medesimo significato di ‘case’, per due volte è stata accomunata a PÓLis ‘case’; ma sappiamo ancora che il gr. OÎK-o-s significa ugualmente ‘VIK-u-s/ casa’; state a vedere cosa accade con queste tre parole coinvolte: gli Elleni ci compongono perí-oikes ‘intorno alle case’; i Lici traducono lo stesso composto con epe-wellmmeis/ *epe-Wauleis, vocabolo oppresso dai soliti infissi, non si può prendere così confuso, va ripulito dall’ignoranza, che l’ha pronunciato *epi-FelFFeis < *epi-Feleis, gr. ‘ép-aulis’; e poi PAR-na per ()AR-n-na, Arnnai/ Xanthíois….

Certamente qualcuno non ha letto i miei articoli e libri, non ha visitato il mio sito su Internet, non sa che la desinenze fondamentali erano -sa, -sa-sa, -sas, -sa-sas, -sas-sa, -sas-sas…; -sa-si, -sa-sa-si, -sas-si…; e che il presente , 3a pers. sing. e plur., veniva espresso con la desinenza -si, -si-si/-s-si, duplicata per gli altri tempi -s-si/ -s-si, -si-si-si-si/ -si-si-s-si/ -s-si-s-si (v. “Lingua etrusca (percorsi)”: PAID-eú-Ei < *PAID-eu-Si…); tutte subirono innumerevoli variazioni, uscirono persino con la L, come nell’urarteo qaBq-a-r=su-u-la-la-ni (su ‘Symposiacus’, Anno XXXII – N. 5 – 2002; da “Stele di Kelishin”), verbo partito dalla radice KAK/ QAQ ‘rotondità’ (CECe, COCco… > *qaFq-a-ru ‘ruota/ cic-lo’) per essere coniugato come segue: ‘ *KIK-la=sa-Fe-ru-n-ti ‘(ac)CER-chia-ro-no’, proprio con L al posto della S normale: *KAK-a-lu=su-Fu-sa-sa-si! Da non crederci!
Ma diamo spazio alla ‘Signora’ Jasasara-me/ Asasara-me/ *Assara-me/ *Asara-we (-me/ -we/ -be, -ma, -pa, … enclitici asianici), che certi studiosi degradano come ‘dono’. E che ‘offerta’ sarebbe? Piuttosto agli etruscologi manca una cultura anatolica, rifiutata a priori, oltreché glottologica, infatti maneggiano la fonetica con troppa approssimazione, perché questo nome divino deriva dal luvio hassus ‘signore/ dio/ regnante’; su MEG, p. 38, $ 39, scopriamo il luvio cun. M-assani-/ *Fassani- ‘dio’; possiamo soffermarci con l’eteo (MEG), scoprire il femminile di tale termine: Testi, 2 e 3 Serie, pag. 254, N° 316, fr. 11: a-wa wa-x-URU-i 1(8)9 KUR-na-sa GAL-SALLUGAL ha-su-s-ra-s “GAL/grande, SAL/femmina/ile, LUGAL/ re = la grande, *hasusaras/ quella del signore/ la signora”; la M < F segnala un passaggio evidente, ovviamente, come l’H, ripropone l’iniziale di HASSUS, quindi *Hassa-sa > *Hassa-na/ *Fassa-na > *Hassa-ra significano ‘quella del signore/ signora > divinità/ regina’; accenniamo anche all’inizio del testo, tratto da Hethitische Textbeispiele, Vs. 1 Anitta piThana(s) DUMU Kussaras (hassus) QI-BI-MA 2 nebeszasta (Tarhu)nni assus est… “Anitta del dioThana FIGLIO, di Kussara (reggente), DICE: dal celeste ( *NE-pis=sas-sas, etr. NE-th-sVis, NE-thu-ns, eteo NE-pis ‘cielo’, MEG) (dio) Tarhui (*Tarhussi) amato è…”; la pi in apice traduce la ‘divinità’, espressa in vario modo, con ME (En-ME-sarra ‘signore di tutti i ME del cielo’), MU (MU ‘tempo’, il generale MU-wa > il re MU-wa-ta-lli ‘ME-te-le’), PU (PU-Sarruma),VE (VE-Iovis); quanto a Hassus, per la K > H/F > 0, deriva dal più antico *Kassus, con una variante KATTI, in etrusco Cautha ‘Signore/ Sole’, testimoniata anche da Thutmosis che ricevette doni dal ‘gran Cheta’, tanto si legge su O. R. Gurney, “Gli Ittiti” (GIT); in licio scopriamo chbidenni, come al solito contaminato da varianze ed infissi, per *kFit-e-s-si ( F > b, s > n) > *Kitessi/ *Kittessi ‘regnanti’, ma individuiamo anche la forma più recente ASnne ‘reggente’ (da “Trilingue di Xanthos”); appena poco diversa la leggiamo nella TLE 197 di M. Pallottino; contiene una carica pubblica riconducibile con evidenza alla dignità di ‘signore / divinità’: EJSnev ‘reggente’; ma seguiamone lo sviluppo: in eteo divenne WASHA ‘signore’ < *FASSA, itt. ISHI- < *F-isshi; in tirseno equivale al rotacizzato MAR-u < *FAS-u, ricordando persino il MAR-u-nuch < *FAS-u-nus > *FAS-u-lus > BAS-i-leÚs ‘vice-reggente’ (s > n > l, F > u), confrontabile con il lidio PAL-Mlul/ QAL-Mlul < *FAS-Fsus, frigio BAL-lén < *FAS-les, termine oltremodo esplicito quando si vuole capire il reato di PAR-i-cida < *FAS-i-cida ‘del signore-uccisore’ (non del padre); infine accomuniamolo anche con il comprensibile lat. HER-u-s < *FES-u-s ‘signore’; è evidente che il termine si sta avvicinando al nostro signore/ dio, con il suo femminile *Wassa-sa > *Wassa-ra, *Wassa-na > *FAS-a-na, recuperabile persino in osco su V. Pisani, “Le lingue dell’Italia antica oltre il latino”, Indice, LIA: 4 C: Fetenis kam ASANAS metapontinas sup medikiai aoudeieis “C. Vettenius Cam. ATHENAE Metapontinae sub meddicia Audii”. Lo studioso afferma che si tratta di un termine laconico, e riporta l’equivalenza ‘Asanân = ‘Athenôn’; Asanas è tradotta con Athenae, perché questa divinità non greca, prima di diventarlo, la pronunciavano *ASHena; su J. Friedrich, “decifrazione delle scritture scomparse”, DSS, a pagina 121 è riportata l’iscrizione lidio-greca: esn tasen ASniL bartaras .atit “Questa immagine? ad *ASeni(-L < -Li < -Si) Bartaras dedica.” ; tradotta con il gr. ATHenaíEi < *ASH-e-na-i-Si ‘Ad Atena/ *ASena (è dedicata)’; confronto esplicito, inconfutabile *AS-s > AS-r, AS-n/ AIS-n/ EJS-n/ ATH-n.
Da “Le lingua indoeuropee” di Anna Giacalone Ramat Paolo Ramat, pag. 154: “…e comprendendo molto più significativamente il nome della principale divinità degli iranici nella forma Assara mazas ( = iranico comune *Asura-mazdas, succesivamente *Ahura mazdah, cfr. apers. Auramazda, av. Ahuro Mazda)”

Visioni? Coincidenze?
Per maggiore chiarezza aggiungo anche l’intera iscrizione accennata sopra, tratta da TLE 195, che presenta proprio il termine EISneV-c, traducibile con ‘signore/ divinità’, passato attraverso la forma hassa * > assa-sa/ atha-sa, -na, -ra, come visto, variamente differenziata:
1 ….s arnth larisal clan thanchvilus-c peslial-ch ……..thura .xxnthasa 2 EISneV-c eprthneV-c macstreV-c ten. Ezncheval-c tamera zelarvenas thui zivas avils XXXVI lupu
“ Dei …., Arunthe di Laris figlio e di Thanachila Peslia ……..thura . xxxnthasa e signore e imperatore e condottiero fu fatto; e per ultimo teoro delle imposte. Qui la tomba (licio xupa < *supa > zivas). A soli > anni XXXVI è morto.”
EJS-ne-V-c(e) ci restituisce una variante appena poco diversa, con la J e la V/F interna e finale, frequenti presso i Cari (eJnantiVon martuVrWn ‘martúron enantíon’ ‘ai testimoni davanti’); semplificata ci dice che possiamo leggerla *ES-ne; e siccome viene posta all’inizio, presumo che si tratti della massima carica attribuita al personaggio dell’iscrizione.
Non basta: esiste una spiegazione persino sulla “Trilingue di Xanthos”, dove all’inizio del testo viene indicato Pigesere Trimmisn chssathrapazate, ossia che ‘Pigesere di *Trisn/ *Tarhusn (Licia) *satrapazava/ faceva il satrapo’; ma in chiusura viene affermato: Pigesere (meiyeserihhati mehriqla) ASnne pzzitili ‘Pigesere (della custodia del giuramento) signore sia’; tradotto dal greco Piksótaros de KÚRIOS ésto; dunque asnne = kúrios ‘signore’; mentre pzzitili < *Fes-i-ti-si < *ED-i-ti-si, conserva nell’intrico della cattiva pronuncia la radice SED > ED > ES/ EZ di ‘siedo > sono’, ed è tradotta correttamente dal greco *ES-to-()o.
I testimoni, qui ancora più numerosi, mi appaiono decisamente adatti a confermare la verità; sempre che si voglia capirla.

Tutto questo, e ancora, avrebbe dovuto ricordare e riferire il Facchetti, adducendo controprove culturali; avrebbe dovuto mostrare che avesse letto bene quanto ho scritto su articoli e libri, non una serie di confuse confabulazioni immaginifiche, che nessuno avrà potuto capire, eccetto che fosse molto infuriato; e giù colpi alla cieca contro un profano che ha liberamente espresso un suo motivato giudizio, non sulla persona, ma solamente sulla sua opera; che ha corretto pagina dopo pagina.
Io non ho immaginato nulla; sono sempre andato in cerca di testimoni con l’intento di farli parlare.
Una volta Giacomo Devoto, rispondendomi con gentilezza, mi disse che ogni parola andava considerata ‘un imputato', da tenere sotto controllo.
Ma continuiamo a scorrere il testo, traducendo alla svelta i termini minoici
che non servono allo scopo presente, ma spiegati altrove: (.)da ‘oppure’; pit-e-ri ‘atterri’; akoane ‘icona’; quanto ad unaru-KAN-a-ti, ci troviamo di fronte ad un verbo composto dalla preposizione *unatu e da KAN-a-ti 1, (I i) (tak-ku LU-an n)a-as-ma SAL-an (su-ul-la-a)n-na(-a)z ku-is-ki ku-e-n-zi “(Se un uomo) o una donna (per una dispu)ta qualcuno uccide….”.; ipi-namina è anch’esso una voce verbale, gr. epi-né-mo ‘divido > taglio’, il nostro nu-me-ro vale ‘parte’, come il tirseno TLE, 570: XII naper < *namer ‘dodici parti’; sir-u-te, si-ru-(.), gr. kár-e-ti < *kir-u-te, dat. di kár-a ‘testa’ (varianza s > k); qui fermiamoci appena per consigliare il Facchetti di studiarsi l’evoluzione di S in K: lineare A siru, gr. kára, av. sarha-, aind-, siras- ‘testa’ (LLI, di A. G. Ramat, P. Ramat); lineare A saqe- ‘bronzo’, miceneo kako ‘bronzo’, greco chaLkós ‘bronzo’, con L infisso, altro che tralasciato dai micenei ignoranti; ed ora terminiamo con un testimone di ferro: inaja-pa-qa: -qa ‘oppure’, -pa/-phi ‘con’, inaja ‘corda’; inaja, com’è vicina al greco enía! ancora meglio collima proprio con il miceneo anatolico ania-pi ‘con redini’ (J. Chadwick, LINEARE B, p. 134).
Un’altra conferma dello sviluppo s > k/ ch ce la fornisce il sumero SUmes ‘mani’, insieme con il tirseno SA-ris ‘mani > dieci’, paragonabili al nesico KE-ssar ‘mano’, o al greco CHE-î-res ‘mani’, od anche al tirseno -CHA-l()s ‘mani’( ce-z-pa-l-CHA-ls ‘ce/3 > ce-z-p/8 > ce-z-pa-l-cha-l(e)s > otto volte le SA/CHA/ CHE/ KE mani > 80’) ; ma, per farci capire meglio, allarghiamo l’insieme proposto, proponendo anche l’iscrizione a loro nota, tratta da TMT, HT 11b: .1 ) de-nu , ru-ra2/ .2 *86 *77/KA 40 *77/KA 30/ .3 77/KA 50 ru- *79-na/ .4 *77/KA 30 sa-qe-ri / .5 *77/KA 30 ku-ro / .6 180
“.1/ ….) bottino di guerra: .2/ un carro; ruote (*kak-a-ra, urarteo qaBqar()-) 30/ .3 ruote 50 di radice, .4/ ruote 30 di *sa-qe-si = di BRONZO/ .5 ruote 30. Quanto/ .6 180.”
Immaginazione? Quella sua è sicura, infatti su “L’enigma svelato della LINGUA ETRUSCA”, Newton & Compton editori, non ha svelato proprio nulla, salvo le affermazioni su ‘scoperte’ già collaudate, o ‘combinatorie’, o ‘approssimate/ generiche’, note a tutti, persino ai ‘profani’ contro cui si scaglia; quando esce da quelle poche verità si lancia con intensa fantasia a interpretazioni come queste che seguono, tratte dal suo libro rivelatore: Pe 3.3
aulesi metelis ve. vesial cen fleres tece sansl tenine tuthines chisvlics “ad Aule di Vel (e) della Vesi figlio; costui completò <il santuario> del nume <fiorente> secondo il pubblico <voto>?”
Da tradurre invece: “Ad Aule (*aFle ‘sole’) Meteli (il generale hurrico MU-wa, il re ittita *MU-wa-ta-s-sis/ Metele, GIT, MEG, QSI) di Ve(l) (e) di Vesia figlio. Questa (statua) come offerta si pone per il dio Sane/ Siane (itt. Siuni- ‘dio’). (Opera) fatta con pubblica approvazione.”
Co 3-6
velias fanacnal thuflthas/ alpan menache clen cecha tuthines tlenacheis
“di Velia Fanacnei a Thufltha <l’omaggio> fu fatto a favore del figlio secondo il pubblico <voto>”
Ma va tradotta in questo solo modo: “Di Velia Fanacna al dio Thuleta la ricompensa è posta secondo l’uso. Pubblica decisione.”
Nei miei libri questi termini sotto tutti, da tempo, spiegati (anche clen cecha/ * > ksen zeka/ deka), come tuthines ‘delle casate/ del popolo’, riconducibile a démos, demótes, demotikós; in questo modo possiamo scegliere tra ‘casate’ e ‘popolo’; ma nelle lingue italiche il termine è leggibile con tutta chiarezza (LIA, Indice): umbro tote, tuta ‘città’, osco tuVtiko- < *tuFtico-, toUtico- *toFtico-, toFto, toUto, dove ‘demo/ città, cittadino’ sono chiari; la diversità la possiamo evidenziare nelle desinenze monosillabiche finali -nes/-kos; ma sappiamo che gli anatolici in genere prediligevano la n; quanto a ThuFlthas bisogna subito togliere quell’intruso di F, che entra dappertutto, spesso travestito da altra labiale (b, f, m, p, mp, ph, mph, u, v, w), quindi consideriamo *Thuletas, ossia i gemelli greci thêlus, thelútes ‘sesso femminile’, al quale dio si rivolgevano le donne per risolvere le loro difficoltà procreative, o grate per un lieto evento.
Quanto al resto, l’ho spiegato decine di volte, sul sito, tra le mie opere.
Il dramma della lingua etrusca è sempre quello di averlo reciso da ogni parentela, a cominciare da Dionigi di Alicarnasso, chiuso in un recinto pre-/per-indoeuropeo, impiombato ermeticamente nel concetto di estraneità assoluta, condizioni che impediscono l’apertura, la libera ricerca tra le lingua anatoliche, dove vissero i Tirseni/ Tirreni ‘(figli) del dio *Turhsna’ e i Velsini/ Vilsini ‘(figli) del dio Vel’, prima e ancora al tempo della “Guerra di Ilio”; ce lo suggeriscono anche tutti quei nomi divenuti greci, elencati da G. Devoto su “Scritti Minori”; il dio Culsans, altra divinità che tutelava le donne, dal gr. koleión/ koleón ‘sesso femminile’, ormai sotterraneo nel nostro famoso ‘ca(Vo)lo’, implicito nel notissimo derivato velsinio clan, da *kalan ‘partorito > figlio’; divinità che si scopre esistente anche tra gli Ittiti nella forma di Kulsant- (Archivio Glottologico Italiano, V. LIX, F. I-II, p. 39, AGI), ma si legge anche tra i Lidi, dove era pronunciato contratto Qldans < *koletanus…; i Tirseni con purthne indicavano Porsenna/ il pritano, i Lici con pddenehmmis ‘i pritani’; dove sta la somiglianza, sta nel risolvere prima gli intrighi dell’ignoranza, con una buona analisi fonetica; infatti il pr-u-ta-n/ pur-ta-n divenne *pur-de-n, divenne *pud-de-n, divenne pd-de-n, inquinato dalla consonanza rt/ dd, dal digamma F > M, e contratto, ecco alla fine lo strano pddenehmmis, uscito da *purteneFFis/ *pruteneFis < *pruteneis (tolto anch’esso, direi, dalla ‘Trilingue di Arnna/ dell’urbe’, anziché del fiume Xanthos)…..

Aggiungo una iscrizione micenea, per indicare che questa lingua andrebbe restituita, almeno in parte, all’Anatolia, meglio del lineare A; infatti, sostituita la O, perché prima non era usato, e riscoperta la desinenza anatolica originaria -ja da -sja < -sa, -s-sja da -s-sa, rintracciamo finali antichissime, con qualche residuo ancora più antico qui in Italia, se ci soffermiamo sul Lapis Satricanus, dove si conserva una chiara testimonianza nel gruppo aggettivale/ genitivale; significa che il modello luvio era sbarcato anche in Italia, lo testimoniano ICH-noû-s-sa ‘ICH/ isola’ e PI-the-koû-s-sa ‘PI/ isola’, spiegate, con ragioni diverse, in altro lavoro; presentiamola, questa arcaica, straniera, conservatrice iscrizione latina: *(di)uiei steterai POP-lio-sio VAL-e-sio-sio suodales Mamertei “A (D)io/ Iovila. Posero di Publio Valerio i compagni per Marte (*FaFer-te-si).” Se ora, per brevità, analizziamo solo VAL-e-sio-sio, con il metodo più volte accennato, dobbiamo cominciare dal principio, ossia da * > FAL-e-sa-sa > FAL-e-so-so; a questo punto, come ampiamente ho dimostrato cambiando interamente due grammatiche, greca e latina, ancora inedite da anni, si aprono due vie: gr. * > FAL-e-so-so > VAL-e-so-()o > *VAL-e-so-()u; lat. *FAL-e-so-so > VAL-e-sjo-sjo > VAL-e-rjo-jo > VAL-e-ri-j > VAL-e-ri(i); due genitivi ridotti, sbagliati; ma così si modificano tutte le lingue, qualcuna sparisce, come succedeva allora, sotto gli incendi delle guerre. Questo esempio ci consente di individuare nel miceneo un sistema linguistico di provenienza luvia, non testimonianze di un greco difettivo, per le uscite in -jo, e perché privo delle famose LMNRS, invece inesistenti, come ho spiegato con un allegato al libro “Lingua etrusca. La ricerca dei Tirreni attraverso la lingua”; furono gli Elleni ad inserircele da conquistatori, per adattarle alla loro pronuncia, privi com’erano di cultura; ecco l’iscrizione:
J. Chadwick, LINEARE B, p. 222:
ta-ra-nu a-ja-me-no e-re-pa-te-jo ka-ra-a-pi re-wo-te-jo so-we-no-qe scabellum 1;
eccone la restituzione all’anatolico:
* > ta-sa-su a-ja-me-sa e-re-pa-te-sja ka-ra-sa-phi le-wa-te-sja sa-we-na-qe (scabellum 1)
“ Sedia 1 (gr. thásso ‘siedo’), fatta (eteo aia ‘fare’) di cedro (AGI, V. XLI, F. I, p. 34: eripi-, itt. erimpi-, acc. erenu ‘cedro’) con teste (gr. kára) leonine e una di cane (eteo suwana ‘cane’ (MEG), gr. kúon); di nuovo ci imbattiamo in quel s > k, da notare e ricordare, comprese le congiunzioni tirsene: licio se > -s(e) > -c(), -k(), -ch() ‘e’).”
Termino con due iscrizioni etrusche, interpretate da tutti, gli Esperti, allo stesso modo del Facchetti:
M. Pallottino; Etruscologia, pag. 443:
Laris Avle Larisal clensi sval cn suthi cerichunce/ apa-c ati-c sanisva thui cesu/ Clavtiethurasi
“Laris (e) Avle figli di Laris viventi hanno fatto questa tomba (in latino vivi hoc sepulcrum fecerunt)/ e il (loro) padre e la (loro) madre defunti (??) qui sono stati collocati (o giacciono)/ dei membri della famiglia Clavtie ( = Claudii)”
G. M. Facchetti, CR 5-2, p. 60: la traduce appena deviando un poco, in cerca di una piccola originalità: “Laris (e) Aule di Laris figli da vivi questa tomba costruirono; le paterne (e) le materne <ossa> qui giacciono nel (sepolcro) dei Clavtie (= Claudii).”
Ecco la mia traduzione, tratta dalle mie opere, compresa anche nel libro inedito “Iscrizioni tirsene e velsinie (etrusche) a confronto”: “Laris (e) Avle di Laris figli per sé (stessi) questa tomba costruirono. Questo e quello (l’uno e l’altro) in pace qui riposano. Dai *ClaFtii/ Claudii (discendenti).”
Solo due cenni di analisi: sVal, non appartiene, come tutti credono, alla radice omofona sVal- ‘vita’, sVal-ce ‘è vissuto’, ma rappresenta la variante *sFa-L, una palese deformazione del nostro originario sé, identica però al gr. ripulito sPHeîs < *sFeis/ *sFeiL < *seis; claVtiethurasi < *ClaFtiesussi ‘(sono) *claFtiesensi/ dei ClaUdii’, dativo plurale anatolico; da confrontare con clenarasi < *kalenassi ‘ai/ dai figli’.
Ancora Facchetti, dalla sua opera citata: Cr 3.20 (VI secolo a. C.; vaso):
mi(ni) aranth ramuthasi vestiricinala muluvanice
“mi donò Aranth a Ramutha Vestiricinai”; mi > supposto mine, considerato accusativo.
Io traduco invece nei miei libri con “Questo (vaso) Arunthe (itt. Arn(uwa)nd(as), ridotto da contrazione) a Ramutha/Ramatha (dio eteo Ruwa > Ruwatias ‘Solaria’, MEG) per la cerimonia dell’accoglienza nel focolare domestico ha mandato.”
Come avrò potuto, con la mia limitatezza, diciamolo, appioppare questa sequela di significati a Vestiricinala! Il fatto dipende dall’osservazione (avrò… sviluppato il lato destro del cervello) e dalla comparazione; vi ho individuato l’evidente FES > VES/ ES ‘fuoco’, il nome personale VES-ia, VES-ti-, ossia VES-ta > VES-ta-le ‘quella del fuoco’, nonché il gr. (F)ES-tía ‘focolare’, lat. AES-tus…, VES-u-vio, il dio éPHais-thos < *eFais-tos < *ES-tos…e poi la forma anatolica aggettivale/ genitivale *FES-ti-ti-si-s-sa, tutta accomunabile al gr. ES-tia-thé-so-mai ‘accolgo nel focolare domestico’.
Certamente riguardava un dono offerto per un matrimonio; poi finito nella tomba, come oggetto caro alla defunta.

Ho immaginato qualcosa? Un po’ troppo? Scarsi elementi culturali?
Giudichino i frequentatori del mio sito se vi ho esposto cose serie e meditate; certamente non le cianfrusaglie, come mi pare di capire tra la confusione di tante facchettose delicatezze; e, se lo ritenete necessario, consultate pure i miei articoli e libri; chissà che non li troviate più informati, con idee nuove, metodo nuovo, rispetto a quelle di quei blasonati tomi, proposti da Giudici eccellenti; che purtroppo consigliano di pubblicare spesso certi scritti, purché sfoggino eloquio codificato, specie se colmo dello strumento infallibile, quella robusta nomenclatura, roba capace di spiegare ogni minima particolarità, maneggiandola con destrezza; se ne volete un esempio preciso, recente, illustre, canonico, leggete di Koen Wylin, IL VERBO ETRUSCO. RICERCA MORFOSINTATTICA DELLE FORME USATE IN FUNZIONE VERBALE, “L’Erma” di Bretschneider; esempio: AT 1.108:
av(le alethnas ar)nthal cl(an) thanchvilusc ruvfial zil(achnuce) spur(ethi apasi) svalas marunuchva cepen tenu eprthnevc esl(z tenu e)prthieva esl(z)
…vivendo nella città paterna/….fu zilc nella città paterna…; apasi indubbiamente significa apa (= padre), appena visto sopra.
Meglio che la dicano i miei lavori: “Avle (*aFle) degli Alethna, di Arunthe figlio e di Thanachila Rufia (*ruFfia). Fu teleste nella città per tutta (del)la vita (*zFa-sas); il capo maronico fece e l’imperatore (umbro embratur, LIA) due volte fece, l’imperio due volte (ebbe).”
AT 1.109: (arnth) alethn(a)s sethresa ness sacn(isa thui?) clen(s)i muleth svalasi zilachnuce lupuce munisuleth calu(surasi) avils LXX lupu
“Arnth Alethnas fu zilc, mentre il figlio viveva nel ‘mule’…”!
Dalla mia opera: “ (Arunthe) degli Alethna, di Sethre; nel tempio sacrificato dal figlio. Durante la vita fece il teleste; morì mentre era il Fánaks/ il signore/ dominatore sui principi/ sacerdoti. A soli LXX morto.”
Notare intanto la terminazione -leth: MU-leth < *MU-teth ‘durante il (MA-ne/ME-se, dial. ‘MO’…) MU/ tempo’, munisu-leth < *Fanasu-teth ‘durante il dominio’; gr. Fánaks < *Fanass.
Altra notevole osservazione da sottolineare è quella che riguarda le cariche pubbliche; attribuiscono a qualunque capo che trovano il solo significato di ‘magistrato’, tanto per zil-a-th/-ch ‘tele’, quanto per zil-a-ch-nu ‘teleste’, o calu ‘principe’, ecc., ecc,….
Un’altra piccola novità di questo autore la leggo appena or ora su “Archivio Glottologico Italiano”, V. LXXXIX, F. I, p. 111: analizza la parola acnasvers; ci immagina due parole, poi parte con un ragionamento eccellente, dato il suo livello culturale; ma non immagina che possa trattarsi di uno sviluppo, di una forma verbale contratta; se consideriamo acnanas/ acnanasa (su TLE) ‘cresciuto/i’, da *AK-sa-sas/ *AK-sa-nas/ *AK-sa-tas, gr. AÚK-so/ AUK-sá-no, lat. AUG-e-o ‘cresco/ allevo’, acnasvers potrebbe indicare un *AC-na-sFe-re-s, meglio un *AC-sa-sFe-re-si ‘aumentino’, come bene sta alla fine dell’iscrizione TLE 874: …acnasvers itanim heramve avil eniaca pulumchva “Aumentino/ s’accrescano tanto per il tempio gli anni quante (sono) le stelle.” PUL-u-mchva < *FUL-u-m()s-Fa fa supporre una variante del sumerico MULmes ‘stelle’, con il -mes indicante un plurale: tirs. ZA-th-ru-mis < *TA-th-SUmes ‘due volte le mani > venti’.
E’ come trovarsi tra le mani il libro del Facchetti; nonostante l’elevato possesso di indubbia, notevole cultura, scoprirete che anche costui si aggira chiuso dentro le mura dell’arcaica cittadella, proteso a rimestare le idee note, a rovistare con forza tra le anticaglia; a parlare delle medesime irrisolte difficoltà. Non presenta alcun segno di scendere dalla torre; di saltare giù, di andare a bussare a qualche porta esterna, ad esempio per conoscere Piero Meriggi, “Manuale di eteo geroglifico”, o per avvicinare Anna Giacalone Ramat Paolo Ramat, LE LINGUE INDOEUROPEE, Il Mulino, presso i quali troverebbe che all’indicativo preterito, terza persona singolare, compare la desinenza -s-ta; quasi quasi da confrontare con la voce etrusca sva-l-thas ‘visse’, solo che qui dobbiamo prima capire troppe cose: che c’è un s/z, un v/F, un l/s, con la radice *sFa, da *zFa < za-; purtroppo riusciamo a connettere il tutto unicamente se siamo capaci di entrare in questo contorto percorso di fonosi; allora si può pensare di tradurre con precisione *zVa-L-thas < *zFa-s-tas < *ZA-s-tas ‘visse’…; gr. ZÁ-o ‘vivo’; ittita sPisur (MEG) < *sFilus ‘vita’ (salVe / *zFalFe).

Registrato presso la S.I.A.E.
Pubblicato nel numero di Dicembre 2004 dal periodico SYMPOSIACUS, da BISCEGLIE
Angelo Di Mario

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