Angelo Di Mario

 

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DELL'AUTORE

 





ARnna HIRumina *UR-Fs(-sa)

   Il termine ‘città’, nel senso di ‘insieme di case’, risale a molti secoli prima di Cristo; esso è connesso all’idea di ‘costruzione’; voleva indicare una dimora diversa dalla capanna, dalla grotta; il contenuto originario si può cogliere in BAR, la cui scrittura riproduce una pianta rettangolare, munita di apertura, chiamata appunto BAR > ‘casa’, ed è nota agli studiosi, perché corrisponde alla B degli alfabeti; ma esisteva anche PAR ‘casa’; chi sarà nata per primo? Le separa solo una frequente varianza tra le labiali, B > < P. Quest’ultima la conosciamo nel licio PAR-na ‘costruzione > casa’, idea inclusa nel verbo PR-n-na-wa-te ‘ha costruito’ (1, J. Friedrich, DDS), la contiene l’ittita PAR-na-s-se-a ‘famigliari’ (2, F. Imparati, LLI; QSI), il tirseno PAR-ni-ch ‘di casa’ (3, M. Pallottino, TLE); ma la forma desinenzata, come ci suggerisce la fonetica, doveva consistere in una struttura luvia: *PAR-a-sa > PAR-na, *PAR-na-s-sa, ittita PAR-na-s-se-(W)a suwaizzi ‘i famigliari si salvano’ (2), con le inevitabili varianze compatibili, ossia con lo sviluppo seguente: *PAR-a-sa > PAR-na, *PAR-a-s-sa > *PAR-a-n-na/ *PAR-a-z-za/ *PAR-a-t-ta; se togliamo l’iniziale P > F/H, anche questa perdita si verificava, ecco comparire altre forme intermedie, come *HAR-na > *HAR-a-n-na > HAR-na-si “citta(della)” (4, P. Meriggi, MEG), *HIR-u-Fi-n-na > HIR-u-Mi-(n-)na (4, P. Meriggi, MEG); come di consueto bisogna prevedere la caduta anche della H, cogliendo le forme storiche del licio AR-n-na ‘città’, AR-n-na-i ‘cittadini’ (5, TdX), compresa la forma anatolica della Confederazione di AR-za-wa < *AR-a-sa-Fa (1), e le uscite italiche, testimoniate da OR-te, OR-vie-to, AR-e-z-zo, UR-Bs, UR-bi-no, OR-be-te-l-lo < *UR-we-te-cu-lo; ma preferisco la varianza più inconfutabile, emigrata in Italia, dico HIR-u-Mi-(n-)na ‘città’ (3, TLE, 363), senza tralasciare la più famosa, quella nota a tutti, ossia la UR-Bs latina, residuo più antico per la Bss(a) finale, ciò considerando che l’originale aveva la struttura, appunto con la S desinenziale: * > PAR-a-s-sa > HAR-a-s-sa > HAR-a-Fs-sa/ HAR-Fs-s > *HAR-u-Mn-na > *AR-a-n-na per ricordarci anche le notissime città asianiche di *AR-a-s-sa > AR-i-n-na, la nota ‘città del Sole’, e AR-a-t-ta, nemica dei Sumeri, perché il re Enmerkar la minacciava continuamente di distruzione, se non avesse donato ogni sorta di oggetti preziosi, in particolare i lapislazzuli, e i materiali per costruire i propri templi; ce lo racconta l’epopea di ‘Enmerkar e il signore di Aratta’ (6: Helmut Ulhig, IS); notevole anche perché, visti i risultati, sempre fallimentari delle trattative verbali, alla fine questo re straordinario, multicentenario, ispirato da un dio, “Prese allora una zolla d’argilla il signore di UR-u-k,/ vi scrisse parole COME SOPRA UNA TAVOLA./ MAI era stata SCRITTA PAROLA SULL’ARGILLA./ Ma ora, poiché il dio del sole così l’aveva ispirato,/ così accadde. Ed Enmerkar scrisse la tavola.”
Io mi sono sempre domandato: chi scriveva sulla TAVOLA? Lui si mise a scrivere COME SOPRA UNA TAVOLA. E se gli europei Arattesi fossero stati tutti analfabeti, a che scopo avrebbe scritto rivolto proprio a loro con questo strumento inusitato? Chi poteva leggere il documento minatorio? Bisogna sapere che scrisse perché i messi, con le parole non ottenevano nessun risultato; allora pensò: mettiamo le parole per iscritto, quelle non si possono cambiare. Ma gli Arattesi, sia che Enmerkar mandasse loquaci ambasciatori, sia che li facesse presentare con le pandette sulle mani per leggerle pubblicamente, se non conoscevano lingua e scrittura, dovevano rimanere indifferenti, o ancora e sempre sospettosi, per le informazioni lette dai nemici, non da loro.
E’ meglio supporre che qualcuno ad Aratta tracciasse segni proprio sulle Tavolette (di legno); ed Enmerkar, alla fine, si decise ad imitarli, servendosi però della creta, così tanta tra i due fiumi, che chiunque ci avrà potuto giocare già da molto tempo, fino al pensiero di tracciarvi ideogrammi.
Io ritengo che gli Europei abbiano sempre disegnato su materiali deperibili, come scorze, pelli, e tavolette; vivevano, per lo più in montagna, lontani dalle distese di creta alluvionale; nelle loro aspre sedi trovavano ciò che per loro era di pratico uso; gli Anatolici, in particolare i Luvi, restituiscono una lunga storia, una cultura giunta fino a noi (ICH-noû-s-sa, PI-the-koû-s-sa…); aggiungiamoci i lontani Minoici, che scrivevano già molto prima della ‘Guerra di Ilio’; anche Omero ci fornisce un cenno nell’Iliade, VI, 164: “Preto, che tu possa morire, se non ammazzi Bellerofonte, / a me volle unirsi d’amore, ma io non lo volli!”/ Disse , e il furore s’impadronì del re, tal cosa udiva./ Ma si guardò dall’ucciderlo, n’ebbe scrupolo in cuore,/ e lo mandò nella Licia, gli diede SEGNI FUNESTI,/ molte PAROLE DI MORTE TRACCIATE SU UNA TAVOLA,/ e gli ingiunse, per farlo perire, che la mostrasse al suocero/”… Proprio a causa di questo modo di scrivere su materiali deperibili non lasciarono traccia durevole, se non nell’esercizio della memoria, che alcuni predilessero fino alla scrittura, se non nello sviluppo emerso della civiltà ellenica, che costituisce, non l’esplosione improvvisa di una cultura totalmente unica ed originale, straordinaria, ma l’apparire di un lungo cammino di una civiltà complessa, anatolica, europea, sviluppatasi nelle alture, tra l’India, il Caucaso, il Mar Nero e l’EURopa, occupando tutta la parte Nord dell’Asia Minore, a quei margini costretta dall’invasione sumerica prima, e dall’occupazione dei Semiti, provenienti dall’Egitto. La loro collocazione a cerchio, dall’India all’Europa li preservò da ogni influsso linguistico; per questo tutto il gruppo Europeo, nonostante le migliaia di derivazioni, ci restituisce un modello grammaticale solido, giunto fino a noi.
Ma torniamo a questi termini, che trovano applicazione nelle iscrizioni: AR-n-na si legge, come detto, nella “Trilingue di Xanthos”: Arnna, Arnnai; AR-na-si, URU-mi-na sui testi di P. Meriggi (4), MEG, Parte Seconda, Testi, pag. 69, N° 24: La bilingue di Karatepe, FR. XXXVIII: awa i HARnasi 240 x mi-ha “E questa citta(della) costruii” (si noti I ‘questo’, collima con il M-I < F-I etrusco); pag. 108, N° 28: Cekke, fr. 28: itipawa URUmina QUs 9.3 hitaar 26 83-ar “Ma chi a questa città venga contro con inimicizia”; ma soffermiamoci anche sulla nostra TLE 363 con HIRumina, dove si afferma che la ‘città’ offre una stele lapidea ad Auvle FEL-u-s-ke (*FEL-u-s-se) per il suo valore.
Questo elenco di notizie l’ho trascritto su www.archeologia.com , Forum/ Archeologia/ Generico, nome ‘tirse’; alcune mie informazioni si ricollegano a persona ignota, che spesso mi interpellava sui problemi della zona di Bolsena, in particolare sulla querelle tra OR-vi=ve-tus, così accomodato per derivarne UR-bs Vetus ‘città vecchia’ e coinvolgersi nei trasferimenti della popolazione chiamata VEL-s-na/ VEL-z-na > VOL-s-i-nium > BOLsena, quale centro della TIrsenità/ VELsinità; ma che bisogno può avere questo *Orvivetus, se già, da prima, da secoli prima già il suo nome significava solamente ‘città’ in una forma simile ad AR-a-t-ta, basterebbe immaginarvi un F interno, ossia dirlo *AR-Fie-t-ta, ricordando in particolare che nell’antichità certi popoli, compresi i Tirseni/ Velsini, la O non la conoscevano affatto; quindi in tempi etruschi OR nessuno lo avrebbe potuto pronunciare, se non in età molto tarda; il tanto sforzo cela invece la voglia di appropriarsi della fama di VEL-z-na/ VEL-i-s-na/ VEL-u-s-sa, centro sacro per le ‘DODICI CITTA’, con l’isola Bisentina che significa ‘del Consiglio’, con l’isola Marta, che vuol dire ‘delle Carceri’; era una zona organizzata per raduni importanti…; come è facile osservare, le indicazione geografiche sono tutte diverse da Orvieto, derivano invece da SEL > VEL > EL ‘Sole’, quindi non c’entra nulla con la ‘città vecchia’ o ‘Bolsena nuova’; proprio e solo *FEL-z-na > *BOL-z-na distrutta, può assumere la qualifica di ‘BOL-se-na nuova’, per la sua condizione di ‘rasa al suolo’, compresi i propri templi e la profanazione, che piamente si tace, delle tombe gentilizie, con la sua popolazione residua ‘dispersa’ per chissà quanti anni, prima che si ricompattasse dove ora si trova, a debita distanza dalle mura quasi rase al suolo, mura che andrebbero esaminate attentamente da specialisti, capaci di prelevare al di sotto vari cilindri di materiale terroso, come avviene per il ghiaccio del polo sud, alla ricerca di residui organici, stratificati, conservati; lì sotto, gente esperta, potrebbe scoprire l’età del carbonio inglobato, che la pietra certamente non può fornire.
Ma torniamo a qualunque termine che cominci con VEL, esso indica sempre e soltanto un derivato di ‘SEL/SOLE’, ossia VEL-z-na contiene l’idea della ‘(città) del SOLE’; altro che *Urvivetus; le solite traduzioni ad orecchio, omofone, capaci di restituire il ‘significato’ voluto, o più conveniente, quasi sempre desiderato; in un simile trabocchetto è caduto chi per primo analizzò MONTE= FIASCONE; l’analista improvvisato che poteva capire se non che significasse un ‘monte (ricco) di fiaschi (di vino)’ o a ‘forma di un grande fiasco/ un fiascone’; deduzione facile alle orecchie, nonché proprio adatta al nobile vino EST EST EST, che, tra l’altro, non ne avrebbe avuto alcun bisogno. Meglio di così quel nome non avrebbe potuto meritare; ma basta andare un poco pochino indietro per incontrare *Flasco-ne ‘del *Flasko’, dove sembra nato il durevole ‘Fiasco’, quindi ‘Monte del Fiasco’; ma si è trattato sempre della solita fata morgana, la fuorviante omofonia (botte/ botte, sala/ sala, sale/ sale/ sale…), sempre pronta ad aprire bivi, e con maggior danno, se conducono ad altre lingue: per i latini ‘il fiasco’ era un ‘lac-u-nar’, la cui radice però deriva da LAK ‘acqua’ (LAG-o, LIQ-ui-do. LIQ-uo-re…; con i più complessi F-LU(K)-men; F affisso, K probabilmente assimilato in un primo tempo, perciò *F-LUM-men, e significava ‘quello dell’acqua/ Fiume’, P-LU(K)-via (F > P affisso) ‘p-(l)jo-g-gja’, spa. LLU(K)-via pron. gliuvia ‘pioggia’; chiara l’evoluzione fonetica FL/ PL > Fj/Pj); ma ci aiutano meglio gli Elleni, perché tale recipiente lo dicevano phiále, ma lo sviluppo nostrano lo porta a *FiLe > *FLj > Fj; e proprio da qui è nato il derivato *PHIAL-a-s-ka, evolutosi in *FjL-a-s-ka > *FL-j-a-s-ka > *Fjasca, attraverso FIL > FL > F , come per FLumen > Fiume, PLuvia ‘pioggia’, FLamma ‘Fiamma’, FLos ‘Fiore’, Plumbum ‘Piombo’; sviluppo fonetico che ha prevalso nella denominazione di Monte –fiascone, interpretato erroneamente ‘Monte dei fiaschi’; nessuno ha però immaginato che quel *FLascone, omofono, anziché da un recipiente potesse trarre la propria nobile origine dalla civiltà anatolica, ricollegabile a FEL / VEL ‘Sole’, con tutti i suoi derivati; la desinenza originaria, sempre luvia, consisteva nel gruppo -s-s, passato a -s-n, -n-n/ -n, -z-n…ma anche a -s-k, come lo testimonia, ancora, il termine * > FEL-i-s-si > FEL-i-s-ni > FEL-e-n-ni ‘EL(l)-e-(n)-ni’ (Greci), rispetto al parallelo PEL-a-s-go-í ‘i *FEL-a-s-ki/ PEL-a-s-gi’ (ritenuti Greci anch’essi, che però ancora non lo erano, ne i primi né i secondi; gente che parlava una qualche lingua anatolica, anteriori alla ‘Guerra di Ilio’), ossia erano definiti nient’altro che con la stessa radice, detta da diversa etnia, o contrapposta: *FEL-a-s-ko-si ‘i *FEL-a-s-ki/ *PEL-a-s-ki/ ‘quelli di FEL > PEL’, con la desinenza -s-k dell’eroe italico FEL-u-s-ke; niente però che colleghi i Pelasgi al ‘mare’; ci manca lo -s-k, mi riferisco a PÉL-a-gos < *FEL-a-kos ‘mare’, altro omofono; ecco il tranello dell’omofonia, quest’ultimo termine invece trae origine da THÁL-a-s-sa/ THÁL-a-t-ta ‘mare’, risalente dall’arcaico *SAL-a-s-sa (TH/CH < S, come zil-a-th/ zil-a-ch > *tilas ‘(il magistrato velsinio) tele’); questa nuova radice SAL ‘acqua (di mare)’, attraverso la varianza desinenzata *SEL-a-kos ‘di acqua’, si sviluppò da SAL-e ‘acqua (di mare) > sale’; il significato si capisce bene se paragonato con la forma priva dell’iniziale S, come ci suggerisce il gr. (S)ÁL-s ‘mare’ per la resa formale intermedia tra SAL > FAL > AL di *FAL-e-kos (S > F > 0); della stessa famiglia incontriamo l’arcaica SAL-i-va ‘di acqua’, la via SAL-a-ria ‘(via) dell’acqua’, presso il fiume Tevere…; ciò significa che i VEL-z-na e i *FEL-a-s-ka, come è evidente, sono uniti dalla stessa famiglia verbale, pur terminando con desinenze diverse; per certo le tribù presenti intorno al lago di *FEL-s-na > *BOL-s-na saranno arrivate sul posto già distinte in *FELessi e *FELeski, oppure avranno voluto o dovuto distinguersi, per ragioni pratiche, o politiche, differenziandosi con le varianti desinenziali -s-na/ -s-ka; ma questa distinzione, come visto, era avvenuta già nell’Ellade, ancora da nascere, con *FELenni e *FELaski; questo fatto lo abbiamo visto anche con il solo VEL, munito di svariate desinenze: -s-n, -n-n/ -n, -z-n, -ch-n, -th-n…
Per capirci meglio riproduciamo l’iter di una della tante radici indicanti ‘luce’; prendiamo proprio la famiglia di SEL ‘splendore’, tanto ricca, ma di difficile comprensione per chi non ha dimestichezza con le glottologie, per chi non riconosce le famiglie di parole, per chi non sa evitare gli omofoni, sempre pronti a confondere le idee: cominciamo con il gr. SÉL-a-s ‘splendore (SOL-e)’, seguiamolo attraverso la continuità del significato (ogni Famiglia di parole deve conservare sempre la medesima Impronta genetica), attraverso i mutamenti possibili (non immaginari), ricollegandoci, per il primo passo, al più arcaico, fondamentale, necessario luvio *SEL-a-s-sa; la struttura si muta di poco, come è naturale per ogni parola, ed eccone lo sviluppo, altrettanto anatolico, in SEL-á-n-na ‘luce > Luna’ (Saffo) (-s-s > -n-n), SEL-á-na/ SEL-é-ne ‘luce > Luna’ (-s-s > -n-n > -n); a questa prima sequenza ne segue un’altra priva della S iniziale, come spesso succedeva in greco (ÚD-o-r/ S-UD-o-re, ÚP-nos/ S-OM-nus, È-ks/ S-E-cs…ÉP-o-mai/ S-EG-uo (s > 0, P/G…), sostituita spesso dalla F (ed il suo frequente divenire > b, f, m, p, mp, ph, mph, u/ v/ w); quindi possiamo incontrare FAL/ FEL/ FIL > VAL/ VEL/ FIL…, ossia FAL-e-ria, VAL-e-ria, FEL-si-nia > *BEL-ni-nia > BON-o-nia, *FEL-a-s-kia e *FL-a-s-ka-ne ‘(Monte) dei *FEL-a-s-ki/ *SEL-a-s-ki; da qui raggiungiamo il vels. VEL ‘SOLE’, notevole per le decine di derivati: VEL-u-s, VEL-u-sa, VEL-u-s-la < *VEL-u-s-sa, VEL-a-s-na, VEL-z-na, VEL-the, VEL-thi-na, VEL-i-s-nas, VEL-u-s-na, VEL-che, VEL-thur, VEL-th-re…VEL-thi-na-thu-ras < *VEL-thi-na-s-sas (forma luvia) ‘dei VELtina/ *SEL-a-t-na’. Chi non scopre i tanti nomi originati dalla radice SAL/ SEL/ FAL/ FEL/ VEL … ‘il Sole’, senza confusioni però con gli omofoni SAL-e, SEL-e, FEL-i-no, FEL-pa, VELl-o, VOL-o, VOL-to…; tutto questo per incontrare l’autentico VEL-s-na, e con l’introduzione della O, l’autentico *VOL-s-na; in Asia Minore abbiamo un parallelo sviluppo con POL-i-ch-na, da *FEL-i-ch-na (E > O; notevole la desinenza -ch-na, identica a quella del magistrato vels. zil-a-ch-nu ‘teleste’); nome collocato presso il fiume AES-e-pus ‘cavallo’; a Lemno hanno scoperto altra città, detta POL-io-ch-ni < *FEL-ia-ch-ni; tutte significavano ‘luogo, luoghi del dio VEL/ Solari’, dedicati al dio ‘SEL > FEL > VEL’; ci va compreso anche l’evidente VUL-ca-no, vels, VEL-cha-ns ‘quello del fuoco’. Da tenere presente che i fenomeni sulla natura del cielo (e dovunque sulla terra), come il sole, il fuoco, la pioggia…, non vanno guardati con il sapere di oggi; quella gente non conosceva che il ‘celeste dio fuoco/ luce’, solo deduzioni antropomorfe, non paragonabili con nessuna delle nostre cognizioni scientifiche. Ma torniamo sul cammino di SEL > FEL > VEL, che non si è ancora fermato; la radice, come ci indica lo studio della fonetica, le regole delle glottologie, perde pure la F > V, riassumibile in questa sequenza SAL/ SEL ( SOLe) > FAL/ FEL/ FIL > VAL/ VEL/ VIL > AL/ EL/ IL, ed eccola ancora, significante allo stesso modo, data l’appartenenza alla stessa Famiglia, anche se spoglia dell’iniziale: gr. ÁL-io-s/ ÉL-io-s ‘Luce (sole)’, EL-é-ne < SEL-é-ne ‘Luce > luna/ ELena’; ma non è ancora terminato lo straordinario percorso evolutivo della radice SEL, in bocca a tanta gente, per tanti secoli; rientra ora in gioco con la invadente F, presentandoci aFélios/ aBélios ‘sole/ ABele’, la vittima di CA-i-no/ del Fuoco’, gr. KA-í-o ‘brucio’; nonché i velsini aVil/ aVils ‘soli > anni’, aUle, aVle ‘sole/ Aule’, aPlu ‘sole/ Apollo’; TUTTE significano ‘Luce > Sole’; persino con la variante multipla FaFl/ BaBel di BABele ‘città del Sole’, con ciò scopriamo il poco mutato vels. FuFluns ‘dio *(S)UL-u-nu/ Solare’; vi possiamo inserire persino l’inimmaginabile nome del re ittita SuPPiL-u-liUMas, il quale, senza conoscere l’invadente famiglia del digamma, che confonde un numero enorme di termini, altrimenti subito comprensibili, resterebbe senza spiegazione alcuna: invece, evidenziate le sue troppe massicce inclusioni, scopriamo *suFFil-u-njUFas, depurato si rivela il palese *SUL-u-njas ‘SOL-o-ne’.
Sono tantissime le radici che si possono seguire con questo sistema, ma occorre conoscere i fenomeni fonetici; qualche glottologia va studiata e seguita, altrimenti non si capiscono gli sviluppi, i cambiamenti dei suoni, e si rimane incerti davanti alle analisi fonetiche e strutturali da me presentate; in particolare quando affermo che la RADICE è sempre MONOSILLABICA, e la DESINENZA è altrettanto MONOSILLABICA; senza strumenti glottologici (ma, purtroppo, non sempre idonei) non si potrebbe arrivare facilmente ai due elementi monosillabici fondamentali; un facile, piccolo esempio: gr. g-RÁ-pho ‘s-c-RI-vo’, presenta una g- frequente davanti a certi suoni (gr. g-LÓS-sa < *LOK-sa ‘LI(n)G-ua’; g-LAUK-ó-s ‘LUCente’,…), quindi va tolta, eccoci allora davanti allo spoglio -RA-pho < *-RA-so, traducibile solo con le nostre ancora attive azioni verbali: ‘RA-ffio, g-RA-ffio, s-g-RA-ffio (la pietra)’ (non ancora s-c-RI-vo, come lo concepiamo noi); per la complessità, l’invadenza dalla F e la sua famigliola enumerata, non può mancare un cenno al licio/miliaco pddenehmmis, inspiegabile, senza strumenti adeguati; è tolto dalla .5, TdS, tradotto dal greco ‘arconti’; ma va subito individuato che la traduzione greca è impropria, propone una carica diversa, inoltre occorre comprendere la solita invadenza HMM, da HFF, con ciò ci avviciniamo a *pddeneFFis; dove intravediamo già la carica pubblica ‘pritani’, ma se significa così, come è già chiaro, il pd-d, deve contenere il *pre-de-neFFis; il ragionamento consiste nel constatare che si è verificata una contrazione che ha scalzato pure la vocale: pur-t/ pru-t > pr-d, seguita da assimilazione rd > dd, quindi l’esito, totalmente licio pd-d, confuso in peggio dall’infisso multiplo FFF; attraverso questa indagine scopriamo *pur-t-e-neFis, *prutaneFis ‘i pritani’, vels. PUR-th-ne, *PUR-she-n-ne (th/ch < s) ‘PORsenna’; va ricordato, per inciso, che Porsenna non era un nome proprio, ma la carica rivestita; fenomeno comune a molti nomi di eroi antichi, considerati nomi propri; invece sono indicati attraverso la denominazione del loro incarico ricoperto nell’esercito, come ho spiegato nei miei articoli e libri: AG-a-mém-non significa ‘condottiero’, risolvibile con *EG-e-FeF-sos, vels. ACH-MeM-rum < *EG-FeF-sus, come si vede più arcaico della forma greca -non < -sos, rispetto alla -rum più vicina a -sus > -rus, che a -non, ma anch’esso deformato allo stesso modo, per l’immissione della solita coppia FF > MM; avrebbero dovuto dirlo *ACH-a-sus/ *AG-a-tus/ *AG-a-tor < *EG-e-sus…; come ÉK-tor ‘ÉG-é-tor’; ACH-i-lleús, *EG-e-leFs < *EG-e-teFs < *EG-e-seFs ‘Guida/ Achille’; in licio/miliaco questa carica sta celata in un composto, che termina con la desinenza -zu < -su, leggibile anche in Cha-(Lu)cha-su (7, G. Bonfante Larissa Bonfante, LCE) ‘(eroe/ mostro) di bronzo’ (con la L, persino Lu < LF, infisso), quindi da ricondurre a *CHA-Lka-su, paragonabile al gr. chaLkós ‘bronzo’, chaLche-(s)ús ‘di bronzo’, ma derivato da un più antico, genuino, più semplice *KAK-a-su < mic. KAK-o ‘bronzo’ < minoico *SAK-e < lineare A SAQ-e-ri ‘(cosa lucente) > di bronzo’ (S > K); la L, come detto, non apparteneva al termine, era stato immesso dai Greci recenti, non mancante, come asseriscono certi studiosi; in un mio libro dimostro che L/M/N/R/S erano frutto di cattiva pronuncia dei Greci; ma torniamo ad Achille licio, è celato nel composto as-ACH-la-zu, as-/ es- preposizione + *EG-e-la-su/ *EG-e-ta-su’ ( s > l/t), gr. es-EG-éo-mai ‘comando’, allora significherà ‘comandante/ dirigente dell’ARnna/ città’, ‘l’ACHille della città’…..
Quando emigrarono i Tirseni/ Tirreni dall’Asia Minore, si portarono dietro, come è ovvio, porzioni di civiltà anatolica, anteriori alla ‘Guerra di Ilio’; ad esempio questi Tirseni, derivando il loro nome dal dio hurrico Teshub, rotacizzato in eteo TA-rhui, dovevano provenire dalle città dedicate a questo dio, come Ta-ru-ui-sa < *TA-rhui-s-sa ‘Troia’, o Trimmisn < *TA-rhi-FFi-s-n < > *Trisn ‘di *Trii-a (o Tloo?) = Licia’, che Omero traduce con un genitivo plurale, quasi identico Tróon ‘dei Troi/ Tloi?’ (tradotto in italiano con desinenza anatolica -n-n > n ‘troia(n)ni’), da una forma originaria *Ta-rho-F/Sos; come ancora quelli emigrati dall’altra città detta TA-rhu-n-ta-s-sa (2, QSI), re KUR-u-n-tas < anat. *KUR-u-s-sas > lat. QUIR-i-(n)-nus ‘dio Solare’; in Italia quella città divenne *Tarhunchanna > Tarqui(n)nia; come è chiaro, i nomi contengono bene i *Turhusanni/ *Turhranni, quasi i Darda(n)ni, forse abitanti di Dattassa < *TA-rh-ta-s-sa; da includere anche gli insospettabili *Tarhninni, provenienti dalla città di TA-r-ne < *TA-rhu-n-ne, il cui nome, in seguito, fu mutato con Sardi, forse “all’epoca in cui (i Lidi) conquistarono la Tirrenia” (8, Erodoto, LS), proprio quando cacciarono via il loro capo, Tirreno, con il trucco del ‘tirare a sorte chi doveva andarsene’, e, guarda caso, toccò proprio a lui, già vinto, a correre verso il mare; i VELsini, abbiamo visto, invece derivano il loro nome dal dio sole SEL > FEL >VEL; ora chi era che usava questo nome in Asia Minore, ma lo usava la città di UIL-u-siia, VIL-u-sija, VIL-u-sa (9, O. R. Gurney, GIT), anzi se ne contano più d’una, come riferisce il Gurney stesso, così ho scritto altrove; bisognerebbe considerare persino *FIL-a-wa-s-sa > MIL-a-wa-n-ta > MILa-wa-ta ‘MIL-e-to’, dico che andrebbe compresa in questa derivazione, senza alcun dubbio; a quell’epoca esistevano tante LAR-i-s-se, dal vels. LA ‘luce’ > LA-sa > LA-ris > LA-r-th() ‘di LA/ Luce > Lucio > Laerte/ Luciano’ (non laós + eíro!); allora, perché non potevano esistere varie VEL-u-s-sa/ VIL-u-s-sa? Omero, o uno degli altri cantori, ad esempio, ne pone una sul fiume Xanthos, una seconda viene indicata prima di Troia (9, GIT), la cartina A Classical MAP of ASIA MINOR la segnala vicino al fiume AES-e-pus ‘del cavallo’, eteo ASuwa ‘cavallo’ (AS-i-no ‘simile al cavallo’); sappiamo che un’altra esisteva nella Confederazione di Arzawa (9, GIT) (forse era MILeto, MILavata?); qualcuna, o almeno due, vanno associate dunque a ‘FIL-io-s(-se)/ FÍL-io-n(-ne) > FÍL-io-s()’, ecco perché questo gruppo di fuggiaschi, o solo emigranti, lo indico come Velsini ( > *VOL-s-na), per la ragione che li considero provenienti dalla ‘città di VEL > FIL > FÍLios < *VILios > ÍLios’; li ritengo i primi *FEL-e-s-ni > ELleni emigrati in Italia, ancora prima che gli Italici li considerassero Greci, dal nome degli abitanti di Creta, detti in una iscrizione fenicia CRESI; basta sapere dello sviluppo noto da S a K, che non tutti conoscono, per capire che questa gente insulare, diffusa sulle coste dell’Italia Meridionale, fu pronunciata *KREKI, e così divennero Greci e Grecia, senza che conoscessero ancora l’Ellade e gli Elleni; senza riconoscere i Tirreni e i Velsini, salvo il poeta Virgilio, che nell’Eneide ben ricordava i popoli dell’Asia venuti tanti secoli prima a portare la fondamentale civiltà tirsena/ velsinia = anatolica, espressa nella città di Ruma (eteo RU-wa ‘dio Sole’), e poi gestita dai Latini romanizzati.
Nella “Trilingue di Xanthos” troviamo che decidono gli Xánthioi ed i períoikoi, ossia gli ‘Xanthi/ cittadini ed i perieci/ campagnoli’; questi ultimi chi erano, per capirci bisognerebbe tradurli così: per- ‘intorno’, -ôikos ‘casa’; quindi erano ‘quelli che abitavano al di fuori delle case’; nei campi intorno; gente sparsa per la campagna, sicuramente proprietari, o affittuari; non quei ceti esclusi; la parola si capisce chiaramente; ma i lici indicavano le stesse idee con la nota AR-n-na-i ‘cittadini’, seguita da un bel termine parallelo, vestito con molta ricchezza, il tanto imbottito epewellmmei, dal significato simile ai ‘perieci’; a prima vista non potremo mai capire questa parola senza la glottologia, senza la fonologia, senza aver scoperto l’invadenza costante del F, più volte accusato di intromissione, senza un accurato studio personale, partito da esperienze e studi per l’insegnamento, poi applicato alla ricerca della lingua etrusca, cominciata nel 1966; cosa bisognerà combinare: prima avviene l’epurazione, la spoliazione, dobbiamo liberarlo della cattiva pronuncia: epe- senza fatica rappresenta una preposizione; ma -wellmmei occorre privarlo della famiglia del digamma ( e derivati), il solito W, MM, da F, FF, scoperti in questo modo: *FalFFei; ed eccoci subito dinanzi al più semplice *aFlei, gr. aÚlion ‘abitazione rustica’, aÛlis ‘dove si pernotta’; parola rimasta fino a noi con ‘aUla’, quindi ‘ambiente costruito > casa/ abitazione’, come ôikos ‘casa’; e non deve sorprendere se, presso i Greci, preferisco dire gli Elleni, aûlis derivi da *Falis > *Palis, che conosciamo nella variante Pólis ‘case > città’. Vedete l’intreccio, la corrispondenza delle voci tra lingue affini e diverse. Il termine ‘casa’ divideva città e campagna, mettendo sullo stesso piano i peri-eci ed gli ep-auli.
Tutto questo che vedete, è frutto delle analisi di vario tipo, che, messe assieme, procedono alla spoliazione della parola, la liberano dell’ignoranza, ne scoprono la natura, evidenziano la RADICE MONOSILLABICA, la DESINENZA MONOSILLABICA.
Per G. M. Facchetti il mio lavoro è invece la ‘solita’ improvvisazione, dei ‘soliti profani’, specie su BAS-i-leús, per quell’ipotetico gw > B iniziale…; deve aver letto anche il coltissimo articolo “PER L’INDEUROPEITA’ DI BASILEÝS “ di C. A. Mastrelli, su Archivio Glottologico Italiano, V. XLV – F. I; indagine diversificata, ma troppo ipotetica; io gli consiglierei una piccola sosta presso i Micenei, qui avrebbe potuto comprendere la varianza S > Q/P: eteo aSuwa ‘cavallo’, mic. iQo ‘cavallo’ (J. Chadwick, “LINEARE B L’enigma della scrittura micenea”), simile al lat. eQuus, ma diverso dal gr. *iPo (ÍP(p)os, è sbagliato, per la doppia) proprio per il fattarello della valenza q/b-p, notata su Qa-si-re-u/ Basileús (D. Musi, “Storia greca”, p. 56); su “decifrazione delle scritture scomparse” di J. Friedrich, a pag. 87 leggiamo il protohattico katti ‘re’, sulla “Trilingue di Xanthos” incontriamo Chbidenni < *chFitessi < *kitessi/ *Chattessi ‘regnanti’, paragonabili al tirseno Chautha/ *Kata, in asianico esisteva persino il ‘Gran Cheta’ (9, GIT), ma su Hethitische Texbeispiele, Der Anitta-Text, compare una forma quasi originale, ossia Hassus ‘Signore/ re’, come si intende con facilità, compatibile sia con l’originaria *Kassus > *Kattus, sia con la forma più recente in *Fassus, da cui trae origine una LUNGA diversificazione della famiglia, a cominciare dall’eteo Washas ‘dominus’ (4, MEG), itt. ishis- (10, IND), rotacizzato lo individuiamo nel vels. maru < *Fasu ‘signore’ (lat. herus ‘padrone’); con il derivato marunuch evidenziamo il *FAS-i-seFs (QAS-i-reus, BAS-i-leÚs), ossia il ‘(vice) del Signore > barone’( non lasciato dai Germani); privato dell’iniziale K > H > 0, ecco ancora i derivati *ass-a-sa > ass-a-ra > as-a-ra/ as-a-na ‘Signora/ Dea/ Regina’ (v. l’artico sul mio sito), lidio AS-ni-l < *AS-e-ni-si ‘ad *ASena’, tradotta con il gr. ATH-e-naí-ei < *ASH-e-na-si ‘ad ATHena’ (1, DSS), tirs. EIS-ne-w-c ‘Signore’ (3, TLE), laconico AS-a-nas, AS-a-nân = Ath-e-nôn (11, LIA)…; ma per seguire qualunque varianza compatibile ci basta l’aver compreso con chiarezza il dinamismo fonetico spontaneo che codifica qualunque lingua, generata dapprima dai soli parlanti, poi codificata dagli scrittori; in particolare, riguardo alla nostra civiltà, va considerata l’evoluzione di centinaia di dialetti, varianze del latino, forniti di una miriade impressionante di cambiamenti; tornando al Facchetti, persino disconosce, persino le famiglie di parole (SAR > FAR > MAR > PAR > AR…; KAS > HAS > FAS > AS…; SIR > KIR > KAR > KR…); solo che non ha riletto bene il suo libro “L’enigma svelato della LINGUA ETRUSCA”, Newton & Compton Editori, Roma; si accorgerebbe che ha interpretato i testi servendosi dell’immaginazione, appena è uscito dalle poche cose risapute da tutti gli Etruscologi, ancora fermi alla teoria che l’etrusco vada tradotto con l’etrusco, senza supporre altre connessioni; ecco alcune, tra le innumerevoli tentazioni di ‘svelata verità’:
pag. 71, Vn I.I: (mi a)uviles feluskes tusnutal(a pa/)panalas mini mul/uvaneke Hirumi(n)a phersnalas
“io (sono) di Auvile Feluske, il tusnu, (nato) dalla (Pa)panai, mi dedicò lo Hirumina, (nato) dalla Phersnai”
Vi contrappongo la seguente interpretazione, tratta dal mio libro inedito “Iscrizioni Tirsene e Velsini (etrusche) a confronto”, ITVC:
“ (Questa stele è) di Auvile Feluske, il *Tusnutassa/ di Tusnuta e della *Papanassa/ di Papana (figlio). Questa (stele) ha offerto la città per il suo valore.”
Altri brevi confronti:
Pag. 96, Cr 5.3; vel matunas larisalisa an cn suthi / cerichunce
“Vel Matunas (figlio) di Laris, il quale questo sepolcro costruì”
ITVC: “Vel dei Matuna, il *Larisassa/ *Larisense/ di Laris (figlio). Costui questa tomba ha costruito.”
CR 5.4: laris a(t)ies an cn tamera phurthce
“Laris Aties il quale questa camera <scavò?>”
ITVC: “Laris degli Ati. Questo proprio (ancn) teoro è stato fatto.”
Perché tamera è stato tradotto ‘camera’, ma per omofonia, somiglia tanto alla stanza di nostra conoscenza; ma anche perché qualche tedesco la confuse con Zimmer ‘camera’, sempre per la somiglianza fonetica ; invece la M, abbiamo più volte visto, sostituisce il F, scoprendo questo, la parola va letta *taFera, gr. teorós ‘il guardiano/ l’osservatore’, radice THE ‘luce > vedo’.
Pag., 97, Ta 1.9 velthur partunus larisalisa clan ramthas culcnial zilch cechaneri tenthas avil svalthas LXXXII
“Velthur Partunus, suo di Laris figlio (e) di Ramtha Cuclni la presidenza <del senato> avendo ricoperto, anni avendo vissuto 82”
ITVC: “Velthur dei Partunu, il *larisassa/ di Laris figlio (e) di Ramtha (eteo RU-wa ‘Sole’ > Ruwatia ‘Solare’) Cuclinia. Tele giudiziale fu fatto. Soli > anni visse 82.”
Cechaneri, da cecha ‘legge/ diritto’; la traggo da una traduzione da me fatta nel 1967 della TLE 570, apparsa sulla rivista “Alla Bottega”, poi nei miei libri; riporto la parte finale: ich ca cecha zichuche ‘così come la legge comanda”; perché cecha la interpreto come ‘legge’, ma perché questa parola è scritta con il sigma lunato, un suono in evoluzione, tra s-c-z/d-k, quindi indica la varianza s-c-z, vicino a *zicha/ *dicha, perciò confrontabile con l’eleo zíkaia, gr. díke, dikaia; s/c > z/d (per zíkaia = díkaia, v. AGI, V. LVII, F. I, p. 36); tenthas e svalthas, non sono stati considerati preteriti: *TE-s-tas e *zFa-s-tas ( n/l < s) (v. 10, IND: desinenze ittite).
Pag. 99, Ta 1.59: ravnthu/ velchai/ velthurusla/ sech/ larthialisla
“Ravnthu Velchai sua di Velthur figlia, nipote di Larth (= Ravnthu Velchai figlia di Velthur, nipote di Larth)”
ITVC: “Ravnthu: eteo RU-wa > RU-wa-tia (4, MEG), *RaFmthu/ Ramatha/ *RuFatha) Velchai, la *velthurussa figlia *larthiasissa” (Ravnthu Velchai, figlia di Vethur e della Larthia”; le uscite -su-s-sa, -si-s-sa, appartengono all’anatolico, la lingua madre, ossia al luvio.”
Ta 1.66: vel aties velthurus lemnisa celati cesu
“Vel Aties Lemnisa (figlio) di Velthur giacente”
“Vel degli Ati, (figlio) di Velthur (e) di Lemni. Nella cella riposa.”
Cel-a-ti, kélla-thi; cesu < *ke-tu / *ke-su, gr. keîmai ‘giaccio, riposo’.
Pag. 152, Ta 3.6: cn turce murila herchnas thuflthas cver
“questo donò Murila Hercnas; sacro al (dio) Tufltha”
ITVC: “Questa ha offerto Murila di Herchna al dio Theluthe (del sesso femminile) per grazia.”
Thuflthas < *thuFl-e-thas, gr. THÊL-u-s, THEL-ú-tes ‘sesso femminile’; cver < *chFer, gr. chará, cháris ‘grazia’.
Pag 165, OA 3.5 tite alpnas turce aiseras thuflthicla trutvecie
“Tite Alpanas donò agli dèi del <consiglio? >, <l’indovino?>
ITVC: “Tite Alpnas (o alpnas ‘il dono/ ricompensa’) ha offerto agli dèi della procreazione, per il presagio.”
Alpnas, gr. alpháno ‘do, faccio avere, ricambio’; AIS-e-ras per gli ‘AS > AISoí > THE-o-í > dèi’ (3, TLE); thuflthicla < *theFlutikula, da thelútes; trutvecie , *terutFesie, gr. téras ‘prodigio’, teratóomai ‘guardo come un prodigio’.
OA 4.1: mi selvansl smucinthiunatula
“io (sono) del dio Silvano, quello Smucinthiuna”
ITVC: “Questo per il dio Silvano/ Sileno bruciatore”
SelVansL < *SEL-a-nus-D(e) ‘a SIL-e-no’; smucinthiunatula, gr. smúcho ‘brucio’; smucinthiunatula < *smuchinthiunassa > *smuchintiutore ‘bruciatore’; ricordando che -th/-ch rappresentavano una sibilante, quindi ci/ -si possono essere considerate prossime a -th/-ch (come in zil-a-TH/ zil-a-CH > < *til-a-S ‘tele’).
OB 3.2 mi fleres spulare aritimi
“io /sono) del nume (che è) <nella grotta>, Artemide”
ITVC: “Questo in sacrificio per la salute? ad Artemi(de).”
F-LER-e-s, F affisso, gr. LÍS-so-mai, LIT-é, LIT-a-ne-úo ‘prego, sacrifico, offro’; spulare, proporrei *sFu-la-se, sFa-l-/ *zFal ‘vita’, sVa-l-ce < *zFa-s-se ‘è vissuto’, sVa-l-thas < *zFa-s-tas ‘visse’ (per il preterito -s-t, v. 10 IND); Aritimi, eteo SAR-ma > AR-ma ‘luna’ (4, MEG), con l’infisso T arTma, ecco subito comprensibile il lidio arTmu ed il nostro AriTimi, anteriori ad ArTemide = Luna.
Termino, per far comprendere come mai gli Italici non conoscessero i * > FEL-e-s-si > FEL-e-s-ni/ FEL-e-ski > FEL-e-n-ni/ FEL-a-s-ki, ossia gli Elleni e i Pelasgi ancora da conoscere, ma i Greci che occupavano l’Italia Meridionale, con il presentare la seguente iscrizione, facilmente intuibile:
Testo fenicio b CIS I, 44, Amadasi e Karageorghis 1877: 89 n° B 40.
.1 HMSBT ‘ZL ‘SMN’DNY SRDL BN ‘BDMLQRT BN
.2 RSPYTN MLS HKRSYM
.1 Questa stele (funeraria è) per ‘SMN’DNY SRDL figlio di ‘BDMLQRT figlio di
.2 RSPYTN interprete dei KRESYM / CR-e-te=si).
* > KR-e-si > KR-e-ki > KR-e-ti, KUR-e-ti.
Quando uscirà il libro, progettato per un numero variabile di ‘confronti’ con diversi autori noti, seguito da una parte tratta da “Lingua etrusca (percorsi)”, dove spiego le desinenze arcaicissime (*AM-a-si > *AM-a-ti > AM-a-t; *AM-a-s-si > *AM-a-n-ti > AM-a-n-t…; *PAID-eu-Si > PAID-eú-Ei, *PAID-eu-S-Si > PAID-eú-Su-Si-(n)), e arricchito da oltre cento lettere, tutte piene di spiegazioni, tutte utili per far comprendere qualche elemento del metodo, basato sull’osservazione dei suoni, senza immaginazione fuorviante; quando uscirà il libro, io credo che G. M. Facchetti, e molti altri ancora, che fingono di non conoscermi, saranno convinti di ciò che dico, ancora senza immaginazione, ma con i fatti probanti tra gli occhi.

Bibliografia:
.1) J. Friedrich, decifrazione delle scritture scomparse; DSS.
.2) F. Imparati, Le leggi ittite; Quattro studi ittiti; LLI, QSI.
.3) Massimo Pallottino, Testimonia linguae etruscae, TLE.
.4) P. Meriggi, Manuale di eteo geroglifico; MEG, Testi.
.5) Trilingue di Xanthos; TdX.
.6) Helmut Ulhig, I sumeri; IS.
.7) Giuliano Bonfante LARISSA Bonfante, Lingua e cultura degli Etruschi; LCE.
.8) Erodoto, Le Storie, I, 94; LS.
.9) O. R. Gurney, Gli ittiti; GIT.
.10) Anna Giacalone Ramat Paolo Ramat, Le lingue indoeuropee; LLI.
.11) Vittore Pisani, Le lingue dell’Italia antica oltre il latino; LIA.
Articolo depositato presso la S.I.A.E.