PUBBLICAZIONI
RICERCHE
DELL'AUTORE
|
|
RADICE
MONOSILLABICA
DISCO
DI FESTO
Spesso
ho analizzato parole di lingue diverse, mostrandone la struttura, riconducibile,
sempre, alla composizione fondamentale ed unica, leggibile chiaramente nel
luvio; presumo che fosse stata inventata da un popolo dominante e adottata
successivamente da altre etnie; le quali necessariamente modificarono in
vari modi i vari elementi, ma la struttura rimase funzionale; un po’
come con il latino, tra lingue e migliaia di dialetti diversi, si riscopre
sempre l’impronta riconoscibile: quindi troveremo sempre la RADICE
MONOSILLABICA: a, ak, ka, kar, kr; seguita da DESINENZE sempre MONOSILLABICHE,
come le seguenti: -sa > -la, -na, …; -sa-sa/ -s-sa > -s-na,
-r-na, -t-na, -ch-na, -na-sa, -na-la, -na-ta, -sa-ta, -ta-ta…..; -sas,
-sa-sas, -sas-sa, -sas-sa-sa…-sas-sas, -sas-sas-sa…; ad esempio
la radice SEL > FAL/ FEL ‘luce’ si arricchisce con *FAL-a-s-sa/
VEL-u-s-sa/ VIL-u-s-sa ‘(città) di VEL/ VIL’ > *FAL-a-s-sas-sas
, divenuto, per la varianze, ‘AL-a-k-san-dus’ ‘(figlio
del dio) *FEL-a-s-sas’, re di Uilusiia/ Vilusija; rideterminato, in
seguito comporrà quel nome più noto *FAL-e-s-sas-s-sas, ossia
‘AL-é-k-san-d-ros’ ‘(figlio del dio) *FEL-a-s-sa-sas’,
sempre re di VILusija, ma non di Troia, dominata invece da PÁR-i-s
‘Sole’; analizzato, nei vocabolari, come al solito, con lo strumento
dell’omofonia, ce lo spiegano alékso + andrós ‘difende
l’uomo’! invece ricalca il modello della lingua fondamentale
luvia, con i suoi arcaici, tanti -sa, -sas, -sa-sas…, evoluti come
appena spiegato; quanto a PAR-i-s, invece, trae origine da SAR ( s >
k > KAR > KUR: KÚR-o-s ‘CIR-o/ Sole’, itt. KURuntas,
rom. QUIRinus; CAR-o, CAR-lo) ‘Luce/ Sole’, attraverso lo sviluppo
FAR > MAR-i-s/ MAR-te, raggiunge PAR-i-s ‘di SAR/ MAR/ PAR = Sole
(figlio)’, precede appena (S)ÁR-e-s ‘dio Sole’,
prima che diventasse dio della guerra, valore, comunque, insito nel dio;
nessuno avrebbe potuto vincere la ‘Luce/ Sole’. Questo tipo
di analisi compositiva, capace di intravedere più elementi dovunque,
risente anche dell’influenza germanica; la loro lingua è ricca
di composti; quindi, davanti al greco, considerandolo una lingua più
indogermanica, che indoeuropea, gli studiosi ve li scorsero dappertutto,
puntualmente creduti validi; ma già nell’antichità si
erano diffusi tra molte composizioni.
Questa drastica definizione (R-m/ radice monosillabica,
D-m/ desinenza monosillabica) può sembrare eccessiva, anche perché
le analisi proposte dalle Glottologie e dalle Grammatiche non sempre vi
coincidono; gli errori non risolti derivano dalla diversità di
molti termini propri di ogni luogo, collegabili con nessun altra parlata,
in gran parte dalla degradazione dei suoni, dalle assimilazioni, differenziazioni,
dissimilazioni, metatesi, contrazioni, tmesi…, dagli affissi/infissi
a cui molte parole sono state sottoposte dal parlante; come le seguenti:
gr. Nom. (a-)NÉR ‘uomo (di valore, VIR)’ < osco
NER ‘principe’, Gen. (a-)n(e)Dr-ó-s < *NER-o-s ‘dell’uomo’
(a-, D, da togliere), meglio dice Omero con a-NÉR-o-s < *NER-o-s()
‘dell’uomo’; ma il più confuso va considerato
il termine parallelo á-n(e)TH-ro-phos < *NER-o-Fs ‘uomo’
(non ‘simile ad uomo!’, anér + óps) (a-, th,
F > ph, di troppo); ne potremmo scoprire tanti altri ancora con l’invadente
F > PH, come il gr. adelphós < *A-ti-lFos ‘della casa
> fratello’, eteo atilas ‘fratello’, tirs. atrs,
dove a-delphós, tradotto come ‘co-utero’, mostra il
tipo di analisi omofonica a cui ci hanno abituato i Vocabolari, ma anche
qui si annida l’inganno, perché delphós ‘utero’,
dato per esatto, invece va ricollegato a thêlus ‘sesso femminile’;
se evidenziamo il solito infisso F, raggiungiamo la verità, ossia
*thelFus, parola che in bocca ai Tirseni veniva pronunciata poco dissimile,
infatti ThuFlthas significava ‘dio dell’utero’ (gr.
THÁ-o; THÉ-lus, THE-lú-tes); senza contare poi molte
altre lingue, con invadenze ben più grandi; si veda il lidio wcbaqent
< > *FcFaq-e-n-t(i) > *KAK-e-n-ti ‘danneggiano’ (con
w, b, c/k, q/k, -s-si > -n-ti; quanti inquinanti, cambiamenti). I difetti
di pronuncia sono causa di innumerevoli deformazioni (DIC-tus, DET-to,
DI()-t, DICH-o; gr. TÉK-non ‘figlio’ > *TEK-tom
(n > < t-m) > luvio TIT-tai-mi < *TIK-tai-mi, licio TI()-dei-mi
< *TIK-tei-mi); le analisi, molto spesso sono complicate dalla prima
desinenza regressa, che genera causativi, iterativi, denominativi…;
infatti, per individuarla, dobbiamo suddividere così: non ÉRG-o,
ma ÉR-go, da *ER-e-ko > ER-gá-zo-mai < *ER-e-ka-so-mi,
variante (k/th-t-d) ÉR-()-do ‘faccio’; non MAGn-u-s,
perché proviene da *MAG-e-sus > MAG-()-nus/ *MAG-e-lus, MÉG-e-thos,
MEG-á-le ‘grande’ (s > th, l, n) ); si tratta di
desinenza considerata parte della radice; più di frequente smembrata,
detta tema (NO-mi-N-(is), invece che *NO-mi-Sis/ -nis, S > N, assimilate
per consonanza), determinando palesi confusioni; radici improprie di tre,
persino di quattro consonanti!
Ma gli esempi con maggiori varianze sono sempre più
istruttivi, quindi esaminiamo la radice SAR ‘luce/ sole/ dio’,
bene articolata, accennata sopra; essa si esprime attraverso una serie
di cambiamenti, che comprendono la perdita dell’iniziale, con il
passaggio consueto S > F > 0 (SAR > FAR > AR), nonché
la varianza della vocale, e il cambiamento S > K, già noto;
eccone la sequenza: SÁR-deis ‘SAR-di/ città del sole’,
i SAR-di ‘popolo del Sole’, SAR-i-s-sa ‘città
del sole’, SAR-u-ma/ SARr-u-ma ‘quella del sole > Luna’;
con il passaggio a S > F ( ricordare: > b, f, m/mp, p/mp/ph, v,
u, v, w), ecco allora FAR > tirs. MAR-i-s ‘-s(a)/quello del (dio)
Sole’, P-AR-i-s ‘-s(o)/quello del (dio) Sole’; quindi
()AR > ÁR-e-s ‘-s(o)/quello del (dio) Sole’; AR-a-t-ta/
AR-i-n-na < (S)AR-i-s-sa ‘città del dio (S)AR’;
segue ancora un’altra variante con l’infisso T: SAR-ma/ SARr-u-ma
‘Luna’, sempre ancora la stessa radice, ma con la perdita
della S iniziale, ecco ()AR-ma ‘dio Luna’, con l’infisso
T, una nuova accezione, ossia *arTma > *(s)arT-(i)-mu, con gli esiti
tirs. AR-iTi-mi, lidio AR-Ti-mus ‘ArTemi-(de) = Luna’; infine
con la valenza s/k, individuiamo KÚR-o-s ‘CIR-o = del dio
Sole (figlio)’, *KUR-u-s-sas > itt. KUR-u-n-tas (ss > nd/nt)
‘quello del (dio) *KUR-u-sa/ Solare’ (era il re di Tarunthassa
‘(città) del dio del cielo Tarhunta’, al tempo del
re ittita Muwatallis , nome derivato da MU ‘tempo’ > MU-wa
> *MU-wa-ta > *MU-wa-ta-s-sis ‘ME-te-l-lo’); e poi va
riscoperto il nostro tirseno/ romano QUIR-i-(n)-nus ‘quello del
dio *KUR-i-nus/ < *SAR-i-nus ‘Sole’ (il monte SOR-a-t ‘del
sole’); infine accenniamo al gr. CHR-u-sós, da *SER-u-sos/
*KER-u-sos ‘del colore di SAR/ CHAR/ luce > oro bianco’.
Ma la radice, in particolare se si unisce alla k, contratta sulla radice,
ad esempio nella forma AR-k, cambia la k in g: *SAR-a-kos (il re SAR-gon
‘Solare’) > *AR-a-kes > *AR-kes > AR-gés ‘abbagliante’,
*AR-kos > ÁR-gos ‘del Sole’; *AR-ku-sos > ÁR-gu-ros
‘quello abbagliante/ lucente > AR-ge-n-to’; AR-á-ch-ne
‘simile al sole (per i raggi)/ ragno’; gr. ()ÁR-i ‘mattino’.
Non bisogna trascurare l’omofonia della radice; perché popoli
diversi, come accade per ogni luogo e tempo, quando s’incontrano
rimescolano i loro linguaggi, sicché una stessa radice significa
cose diverse, o radici diverse significano una stessa cosa; ecco un buon
indizio: il cretese, lineare A, dice SIR-u per ‘testa’, invece
il greco si esprima con la valenza S > K, KÁR-a…; a questo
punto bisogna introdurre un concetto essenziale, quello con cui i popoli
primitivi, attraverso un monosillabo, indicavano il tutto, differenziato
poi dalle varianze e dalle desinenze; perciò troviamo con il parallelo
SAR/KAR, non solo il gr. KÁR/ KÁR-a ‘(parte del COR-po)
testa’, ma anche CAR-ne, COR-no, COR-po, C()R-ine, ma anche il gr.
KAR-día/ K()R-a-díe ‘CUOR-e’, e il bulg. S()R-u-di-ce
< *SIR-u-ti-se, e il lit. SIR-dis < *SIR-tis, tutti ‘cuore’…;
ma anche gli omofoni CARo, CARme, CARro,… Altra radice istruttiva
e ricca la individuo in SAN ‘cielo/dio’, tirs. SAN-s-l, SIAN-sl
‘del dio SAN/ del cielo’, ittita SIUN-i, lidio SAN-tas; con
la caduta della S, e l’intermedio FAN ecco *FEN-e-sa > MEN-e-rVa
(confusa con MEN-te…), gr. MEN-é-laos < *MEN-e-laFs, dor.
MEN-é-las/ tirs. MEN-e-le ‘di AN/ Celeste’, *VEN-u-sa
‘dio del cielo/ VEN-e-re’, come il VES-pe-ro, da FES/ ES,
infine l’esito semplificato in AN/ EN/ IN ‘cielo/ sole/ luna/
aria’, AN-sia, AN-si-to, AN-e-li-to, *AN-ko-ssja ‘ANgoscia’,
tutti riferibili al respiro, all’AN-i-ma del cielo; quell’aria
che si perde dal corpo, quando uno muore.
Anche qui debbo ripetere che non dobbiamo cercare in
queste parole i concetti moderni di luce/ sole/ luna/ fuoco/ dio…;
si trattava di donne ed uomini potenti e capaci di condurre i destini
del mondo e degli uomini. La nostra scienza astronomica non ci potrebbe
servire a niente: il SOL-e rappresentava ‘fuoco/ luce/ calore/ occhio/
dio che sorvegliava gli uomini, carro di luce…; si sveglia, dorme,
sposa…
Ora consideriamo le tre consonanti, che qualcuno indica
come radice, ma consistono proprio nel contarci, per lo più, la
prima desinenza regressa (preg-o, da *FOR-e-ko…), come nel caso
proposto con la k/g. Per gli affissi, se analizzo S-C-RI-vo, spesso da
me indicato, esso presenta una S intensiva, una C/G apposta alla radice
come aspirazione intensiva, davanti a L/M/N/R: radice RA, onomatopea RRR
del ‘*RAFFiare la pietra’, questo era lo ‘scrivere’
di allora; RA-ffio, (g-)RA-ffio, (s-g-)RA-ffio illustrano bene il fenomeno,
che comprende anche il greco g-RÁ-pho, già lontano dal primitivo
*RRA-Fo. Se ci soffermiamo con gli infissi, essi ci ingannano, come visto,
infatti la suddivisione in APH-ro-dí-te è sbagliata, altrettanto
APHR-o-dí-te, ugualmente sbagliata; dobbiamo invece sottrarre l’infisso
F > PH, ed allora ricaviamo l’esatto *AR-o-ti-te ‘quella
dell’ÉR-o-s ‘la dea dell’amore’, altro
che ‘dea (nata) dall’ aphrós/ schiuma’, termine
da purificare anch’esso, perché, tolto il solito F > PH,
ecco riemergere l’ittita AR-u-na ‘acqua > mare’,
significato rimasto nel nostro ()OR-i-na/ acqua; anche POL-ù-phemos
‘ricco di canzoni’ ha indotto in errore, ripartendolo come
polús ‘molto’ e phéme ‘canzoni’;
basta scriverlo *POL-iFe-mos, per accorgerci che cela i termini greci
BÁL(l)o ‘lancio’, BÉL-o-s ‘dardo’,
PÓL-e-mos, lat. BEL(l)um ‘il lanciare > la guerra’;
oppure una variante della radice SEL > VEL/ VOL/ VUL ‘S-OLe/
VUL-ca-no’, denominazione in luogo dell’ET-na, quindi si trattava,
probabilmente, ‘di un CIClope = di un SICulo lanciatore’.
Era un KÚK-loPs, ma non un ‘rotondo óps/occhio’,
bensì un *SIK-loFs, ossia abitante nella ‘terra del fuoco’,
di SIK (VOL, ET), detta SIK-e-lía < *SIK-e-s-sja (ssj/llj),
SIK-a-nía < *SIK-a-s-sja (ssj/nnja), con la radice anatolica
SIK ‘luce/ fuoco’, ted. SEH-e-n ‘luce > vedere’,
come SAKuwa ‘luce > occhi’, SAKuwassa ‘dio della
luce/ degli occhi’, perciò anteriore al passaggio a KIK,
da SIK; era un personaggio fantastico, confuso per omofonia con KÚK-lo-s
‘cic-lo/cer-chio’; elementi analizzati su Symposiacus, in
un articolo già pubblicato; inoltre il fenomeno è stato
spiegato con lo stesso tirseno, indicando la congiunzione -c/-k/-ch ‘e’
(Larthial-c ‘e di Laerte’, Velia-k ‘e Velia’,
Latherial-ch ‘e di Latheria’, licio se ‘e’ * >
ce/ ke/ che); con il confronto tra il tirseno SA-ris ‘mani >
dieci’, quello greco CHE-î-res ‘mani’, il nesico
KE-ssar, luvio (K)I-ssaris, il sumerico SUmes ‘manoplurale’;
ancora attraverso il cretese lineare A, con l’esempio SIR-u ‘testa’,
rispetto al greco KÁR-a, o il cretese L. A SAQ-e ‘lucente
> bronzo’, in relazione al miceneo KAK-o, o al greco chaLk-ó-s
< *shaLk-o-s ‘la cosa lucente > bronzo’, L infisso,
non mancante, o tralasciato dai Miceni, come dicono.
La ragione prima della monosillabicità iniziale
e fondamentale sta in una considerazione elementare, ma trascurata: l’uomo,
come tutti gli altri animali, quando era ancora animale, non parlava;
emetteva suoni, sia pure indicativi per la specie, come avviene tra tutti
i viventi superiori, in particolare tra le scimmie; a poco a poco, attraverso
il suo sviluppo cerebrale, si è manifestata la possibilità
di imitare i suoni della natura; arricchendo il linguaggio animale con
l’onomatopea; ma questa non poteva allontanarsi da una emissione,
dalla sillaba, possibile solo qualche rara ripetizione, tar-tar, far-far…);
quindi il primo linguaggio si sarà specializzato nell’emettere
l’onomatopea con un solo colpo di voce; sistema semplice, immediato,
di facile, chiara comprensione per l’ascoltatore, poche parole monosillabiche;
inoltre, per secoli rimase alla base del linguaggio, tanto che anche la
scrittura si dovette servire dell’ideogramma, da considerarsi un
parallelo dell’omofonia, riproducibile con una sola immagine ideografonica,
quale unità di comprensione; alcune lingue restarono monosillabiche,
ad esempio il cinese, ricorrendo a vari accorgimenti per i rapporti grammaticali,
altre, come le nostre, fecero uso di particelle, e , in maniera estensiva,
dei dimostrativi, per precisare l’onomatopea, stabilendo una prassi,
che risulterà vincente, perché il dimostrativo, con l’uso
si unirà alla radice, articolando il linguaggio in modo che noi
possiamo considerarlo genitivale: MAR-e, MAR-o-so, MAR-i-no, MAR-i-na-(s)jo,
MAR-i-na-re-s-s/co; lat. Nom. MAR-e, Gen. del Nom. MAR-i-nus, Gen. del
Gen. *MAR-i-ni-(s)j(o), Dat./Gen. del Gen. *MAR-i-n(i-si > -s)o…;
AM-o, AM-o-re, AMO-ro-so, AM-a-to, AM-i-co…; sono tutti genitivi,
genitivi di genitivi…; anche se risalgono al dimostrativo -sa >
-na, -ta, -ka…; rideterminato -sa-sa > -na-sa, -ta-sa, -ka-sa…;
-si, -si-si…
A questo punto proponiamo alcune radici: ÁL-(l)o-mai
< *SAL-(t)o-mai ‘SAL-to’; a-MAR-tá-no ‘commetto
una colpa’; amphi-ÉN-nu-mi ‘(intorno)-vesto’;
AN-a-lí-s-ko ‘spendo’; AN-ú-(t)o ‘compio’;
ap-ECH-thá-no-mai ‘rendo odioso’ (ÉCH-tos, ECH-t(o)-rós
‘cattivo’); le omofone ÁP-to ‘attacco’
e ‘accendo’; AR-é-s-ko ‘piaccio’; AR-ké-o
‘bastare’; AR-mó-t-to ‘adatto’; ÁR-cho
‘comando’; AUK-sá-no, tirs. AC-na-na(-sa), lat. AUG-e-o,
‘cresco’; ÁCH-tho-mai ‘sono crucciato’;
BA-í-no ‘vado’; BÁL(l)-o ‘lancio’;….bibr-ó-s-ko
< *(FI)FR-o-s-so (radd. FI) < *VOR-o-s-so ‘divoro’…
DEÍK-nu-mi ‘DIG-i-to/ mostro’…DID-á-s-ko
< *DID-a-s-so ‘insegno’, apo-di-DR-á-s-ko < (apó)
(radd. di-) DR-ó-mos ‘corsa’, tirseno TUR-m()s ‘corsa/
()ER-me-te/ MERcurio’, quindi ‘fuggo’………;
tirseni: LUP-u-ce < *NUW-u-se, *THUW-u-se; CE-su < *KE-s-su; SU-thi
> *KU-shi; HUP-ni-ne-thi < *SUP-ni-s(e)-si; AC-na-na-sa < AK-sa-s(a)-sa;
CER-i-chu-te-sa-Msa < *KER-i-shu-te-s-sa; fLER-t-r-ce < *(F)LES-te-s-se;
sVa-l-thas < *zFa-s-sas ‘visse’, sVa-l-ce < *zFa-s-se
‘è vissuto’… Continuiamo con le desinenze, assumendo
CL-a-n 'figlio'’ come paradigma, perché lo propone intero,
con i tre casi fondamentali Nom., Gen., Dat.: in passato avevo supposto
cl/cs > s (clan > *ksan > SA-n, ind. SU-nus), sempre possibile,
ma siccome tutti i termini riguardanti l’accezione di ‘figlio’,
derivano dall’unico concetto ‘figliato/ partorito/ generato’,
bisogna ammettere anche un’altra possibile spiegazione; se ci soffermiamo
con i latini PU-e-r < *PU-e-s(e), PU-sus, PU-tus, FI-lius < *PHI-ljus
< *PHI-sjus, gr. PA-í-s < *PHA-i-s, ci accorgiamo che tutti
derivano dal gr. PHÚ-o ‘genero’, anche la tirsena PU-i-a
< *PHU-s-sja, parallela al lat. MU-lier < *PU-sjes ‘moglie’,
in realtà significava ‘la GEN-e-ra-n-te/ GEN-i-t-ri-ce’;
altre radici forniscono contenuti equivalenti, come il gr. KÓ-ros
< *KU-sos ‘il concepito’, da KU-è-o ‘concepisco/
genero’, o il tirseno HU-sur, da una delle tre *PHU-sus/ *SU-sus/
*KU-sus, o ancora il tirseno FAR-the-na-che < *PAR-te-na-se < *PAR-te-s-se
‘il partorito’, identico alla PAR-thé-nos ‘la
figlia(ta) ( > vergine)’; per tornare a CL-a-n, sapendo che esisteva
CUL-sa-n-s ‘il dio del generare’, ossia il dio del KOL-e-ón/
KOL-e-ós ( < *KOL-e-sos > *KUL-e-sa-sas), che si riferiva
al ‘sesso femminile’, ne consegue che anche questo termine
comprende il ‘partorito’, basta solo restituirlo alla radice
piena *CAL-a-n-(ne) < *KAL-a-s-se, leggibile chiaramente nella stele
di Saturnia: CEL-e-nia-ra-si < *KEL-e-nia-s-si ‘dai partoriti/
figli (offerto, posto)’ ; forse meglio che clan > ksan > SA-n,
ma plausibile anche questa, dove incontrerebbe la radice SE, di SE-ch
‘figlia’, pro-SA-pia ‘prima-nascita’. Una volta
prospettato l’esame della radice, poniamo in evidenza le desinenze,
poi ditemi che, come quelle verbali, esse non siano da considerarsi indoeuropee:
Nom. sing. C()L-a-n/ *SA-n, Gen. s. C()L-e-n()s/ *SE-n()s, Dat. s. C()L-e-n-si/
*SE-n-si; Nom. plu. C()L-e-na-r()/ *CL-e-na-s(a)/ *SE-na-sa, Gen. p. C()L-e-na-ras
< *CL-e-na-sas/ *SE-na-sas, Dat. p. C()L-e-na-ra-si < *CL-e-na-sa-si
< *CL-e-na-s-si/ *SE-na-s-si; oppure Singolare *KEL-a-n, *KEL-e-nes,
*KEL-e-ne-si; Plurale *KEL-e-na-r(a), *KEL-e-na-ras, *KEL-e-na-sa-si.
Per concludere questa parte, va ricordato, messo in
evidenza che il dio Culsans veniva equiparato al dio Gianus/ génos;
entrambi riferibili alla morte/rinascita, alla porta, dove si esce, o
si entra, all’anno che muore/ rinasce; da qui la ragione delle due
facce opposte.
Ora, chi non vi nota le desinenze indoeuropee; i due
chiari dativi in -si, -sa-si < -s-si. Devono aver vissuto in Asia Minore,
certamente, tra antichissimi altri europei; gran parte dovevano chiamarsi
Troiani, Tirseni/ Tirreni, Dardani, tutti figli del dio hurrita Teshub,
divenuto Tarhui, Tarhund, Tarhunta, Tarhunza, *Tarhuncha > Tarchna,
abitanti delle città di Taruuissa, Tarhuntassa, Dattassa; mentre
i figli del dio VEL si dissero VELsini, ed abitavano le città di
UIL-u-siia/ VIL-u-(s)-sija/ VIL-u-(s)-sa, come si può leggere su
O. R. Gurney, Gli Ittiti (nomi variati in POL-i-ch-na, POL-io-ch-ni);
furono proprio quelli che lasciarono, partendo, il nome agli ÉL(l)enes
< *FEL-e-n-nes, all’ *(F)EL-e-s-pontos ‘EL(l)es-ponto/
di *FEL-mare’; tanto vero l’accostamento, che giudico i Velsini
come una parte degli antichi abitatori di Ilio, partiti a gruppi verso
l’Italia, insieme con i tanti fuggiaschi, conosciuti col nome di
‘figli del dio Tarhui’. Si potrebbero considerare i primi
inconsapveli Elleni che occuparono l’Italia, nella parte centrale,
insieme ai *Tarhuianni, *Tyrhusenni…
La ricerca in passato si soffermò al confronto
etimologico, ma questo può valere per un certo numero di termini,
da recuperare tra lingue appartenenti ad uno stesso gruppo, ad esempio
le neolatine, per un comune sistema grammaticale; ma quando le distanze
sono diverse (protohattico, hurritico, testo lidio…), se non soccorre
qualche bilingue, i problemi, che si frappongono, sono troppo complessi,
le tentazioni troppo pressanti, l’omofonia allettante, per cui ci
si perde in un ginepraio di illazioni, testimoniato dalla quasi totalità
dei manuali che ‘svelano’ il mistero etrusco; il cui studio
è stato affrontato anche con il metodo combinatorio; dal testo,
ad esempio un’iscrizione funeraria, con questo sistema si evidenzia
l’onomastica, si scoprono le parole oscure dalla posizione che occupano
(Velus CLAN ‘di Vel FIGLIO’), così anche le cariche
pubbliche, senza individuarne però la natura (zilch ‘magistrato’),
le età (avil, ril ‘anni’), ma quando si varcano questi
limiti generici, ecco di nuovo il pericolo della deriva (zilch, che magistrato
sarà? Avil, ril da dove derivano?); un terzo sistema consiste nel
servirsi di testi ritenuti paralleli; si tratta di uno sviluppo del precedente;
ma i limiti che si oppongono risultano essere sempre troppi, per una sicurezza
sistematica; le brevissime bilingui etrusco-latine forniscono ben poco
sostegno; dalla traduzione che ne ho fatto, si rilevano significative
consonanze, ma i contenuti sono sempre oltremodo limitati.
A questi sistemi già noti, tenuti presenti, ho
aggiunto l’analisi cinefonetica, lo sviluppo dei suoni (SAL/ SEL
> FAL/ FEL/ FIL… > AL/ EL/ IL; SAR > FAR > AR…SUR/
KUR) per individuare le varianze, le contrazione, ed eliminare i dati
inquinanti, gli affissi/ infissi (chisVlics < *kisFlices > *kyrises,
kúrios) attraverso esami onomatopeici, fonetici e glottologici,
in modo da rendere alla fine leggibile RADICE e DESINENZE, scoprire il
termine nella sua forma originaria, e attribuirgli, solo allora, un senso
preciso (zilach < *tilas ‘(il magistrato, chiamato) tele’;
aVil/ aVils < *aFils, gr. aFélios/ aBélios < >
(S/F) ÁLios/ ÉLios ‘sole > anno’; RI-l, da
RA ‘sole > anno’, più -l(s) desinenza).
Come di consueto, terminiamo con qualche iscrizione:
Sanscrito:
visah ksatriyaya halim haranti
“i contadini al signore imposta pagano”
Verbo har-a-n-ti < *HAR-a-s-si; da confrontare con il tirs. HUP-ni-ne-thi
< *SUP-ni-se-si < *SUP-ni-s-si; oltre al -n-t(i) del latino.
chandamsi yuktani devebhyo yajanam vahanti
“i versi acconciati agli dèi sacrificio portano”
Verbo vah-a-n-ti < *FAk-a-s-si; lat. veho.
Ittita:
nu-za SAhur.sag Tarikarimu uruKaskan tarahhun nan kan kuenun hur.sag Tarikarimu-ma
dannattahhun KUR uruZahatiy-ya human arha warnun
“E dei monti Tarikarimu la città dei Caschei sconfissi, (quelli)
dei monti Tarikarimu li uccisi, e il paese della città di Zahariya
tutto via bruciai.”
La particella nu-za, il tirseno na-ch; il verbo war-nu-n ‘ar-do’
< *FAR-nu-m(i); prima persona –n < mi, come il gr. DEÍK-nu-m(i)
‘mostra-questo, ossia -me > n()i ‘questo > io’.
Lidio:
es Asinas Manelis Alulis akmLt qis fensLibid buk esvav anlolav buk esL
karolL fakmL Santas Kufaw-k Mariwda-k ensLibb(i)d
* > es Asinas Manellis/ Manessis Alullis/ Alussis
“Questo (è) di Asina, il/ dei *manessis/ manellis (dei Mane),
l’ *alussis (di Alu) (figlio). Ora chi danneggia questa memoria
o questo dormitorio, allora (gli dèi) Santas, e Kubaba e Marida
(lo) rovinino.”
ess wanas Siwamlis Armawlis akit qis esL wanaL buk esvav antolan buk
esvav laqrisav fensLibid fakav wissis niwissev warbtokid
“Questa tomba (è) di *SiFaFli (*siFssis) ArTmale/ l’ArTemide
(l’*armassis (figlio); AR-ma ‘luna’). Ora chi questa
tomba o questa memoria, o questo recinto danneggia, allora il focolare
e l’abitazione incendi(no) .”
Licio: Pinara.
ebenni prnnawa mene prnnawate Ahamasi Huniplah tideimi hrppi ladi ehbi
se tideime
* > ekessi par-naFa mene par-naFa-te
“Questa costruzione in vero ha costruito Ahama di Hunipla figlio
per la moglie proprio e per i figli.”
ebenne xupa meti prnnawate …..emi hrppi ladi ehbi se tideime aladahali
awaha zupa ebehi ada
* > ekesse supa/ kuwa/ zuwa
“Questo loculo in vero ha costruito …..emi per la moglie proprio
e i figli. Chi danneggia questo loculo (questi) sia maledetto.”
Tirseno-velsinio (etrusco).
nac Thefarie Veliiunas thamuce cleva etanal masan tiurunias selace vacal
tmial avilchval amuce pulumchva snuiaph
“Dunque Tefarie dei Veliiuna ha stabilito le assemblee annuali,
per la divinità Tiwadali (lunare) ha stabilito il sacrificio di
ringraziamento. E ancora anni siano come le stelle numerosi.”
Metli Arnthi puia amce Spitus Larthal svalce avil LXIIII ci clenar acnanas
arce
“Metella Arrunzia moglie è stata di Spitu di Laerte. E’
vissuta soli > anni LXIIII. Tre figli cresciuti ha.”
Semni? Ramtha Spitus Larthal puia amce lupu avils xXII husur ci acnanas
“Semnia Ramata/ Ruwata di Spitu Laerte moglie è stata. Morì
ad anni xXII. Figli tre cresciuti.”
Come visto, nel mondo anatolico possiamo imbatterci
in testi difficili, frammentari, spesso non del tutto traducibili, a causa
della mancanza, anche tra questi, di sufficienti bilingui; ci possiamo
trovare persino davanti al Disco di Festo, così enigmatico, a causa
della sua unicità; nessun’altra iscrizione gli è simile;
i monosillabi che la compongono rappresentano ideogrammi sconosciuti,
non rintracciabili tra quelli in uso a quei tempi; certamente si sarà
trattato di una prima scrittura, di un popolo scomparso, distrutto dal
turno dei vincitori; anteriore sia alla lingua cretese Lineare A, sia
a quella B; tuttavia penso che in qualche punto dovrebbe pure suggerire
almeno minime corrispondenze.
Lo presento per dimostrare che non è poi tanto
facile scovare le parentele, specie in questo caso.
Diciamo qualcosa sul Disco: fu trovato nel 1908 ad opera
dell’archeologo italiano Luigi Pernier nello scavo del palazzo di
Festos, ora al Museo di Iraklion, a Creta; subito attirò la curiosità
di studiosi e dilettanti, ma conserva intatto fino ad oggi il suo mistero.
Nell’impossibilità di attribuire un suono
ad ogni figura, si è ricorso alla numerazione; anche questo sistema
è oggetto di diverse attribuzioni; siccome il disco è rotondo;
le parole corrono lungo una spira, sia da un lato che dall’altro;
i ricercatori si sono detti: ma dove comincerà la scrittura? Dal
centro? Dalla periferia verso il centro? Andando verso dove? Sono nati
ovviamente gruppi contrapposti, ognuno per la sua strada, in su, in là,
in giù. Ma a ben guardare, almeno i disegni (scrittura a ideogrammi,
alfabetica o sillabica) che rappresentano un ideogramma comprensibile,
procedono dal centro verso l’esterno, seguendo la destra di chi
scrive; l’uomo che cammina (1), la testa crestata (2), la testa
rasata (3), l’uomo con le braccia dietro la schiena (4), la persona,
quasi di fronte, ma girata appena verso lo scrivente (5), la bambolina
(6), la testa di maiale (19), la testa di capra (30), l’uccello
che vola (31), il piccione (32); queste figure sono tutte rivolte nel
senso del movimento destrorso, verso l’uscita, a partire dal centro;
come dire che percorrono la via della spira andando verso l’esterno,
l’uscita; quindi è impossibile un procedere retrogrado; chi
scrive, riproduce l’immagine rivolta verso la sua destra; non scrive
con un’immagine al contrario. Inoltre non rimane semplice lo scrivere
andando verso il centro; si può arrivare troppo distante, o non
bastare più la creta, oltrepassando il centro; al contrario, dal
centro, si marcia con sicurezza; al limite, se non bastasse il disco preparato,
rimane sempre la possibilità di aggiungere altra creta sufficiente;
c’è poi persino il taglio sull’ultima spira, che separa
la penultima, per continuare fino alla parola che chiude l’iscrizione;
l’inversione, andare a destra, poi a sinistra, per salire, non va
considerata proprio; altro problema, sembra quello che lo scriba abbia
usato degli stampi, per il suo lavoro, strumento difficile da immaginare,
suppongo non indicativo; nel caso invece fosse stato possibile, avrebbe
dovuto costituire uno strumento idoneo a stampare più copie, più
documenti, facilmente reperibili, se non se ne trovano, come pare, forse
quel sistema fu fatto subito distruggere, magari per motivi religiosi…,
contrari alla prassi sacrale; comunque mostro il Disco con la sequenza
reperita su Internet, la cui scrittura, come accennato, per alcuni, dall’esterno,
dopo un giro, svolta a sinistra fino al centro; il Godart invece parte
dalla sillaba indicata con il numero 31 spingendosi fino al centro, secondo
la numerazione che figura più sotto; comincia insomma dall’ultima
parola, seguendo al contrario l’andamento della scrittura, delle
figure; quella mia parte invece dal centro, dalla sillaba 31 (1), per
giungere, per entrambe le facce, alla fine, posta nel solco d’uscita,
estremo.
Testi tratti da Internet: numerazione delle parole, così proposta:
verso destra: A) 1-2-3-4-5-6-7-8-9-10-11-12; verso sinistra fino al centro:
b) 13-14-15-16-17-18-19-20-21-22-23-24-25-26-27-28-29-30-31
DISCO DI FESTO
TESTO A
TESTO B
Louis Godart parte dalla fine, gira a sinistra, fino al centro.
Testo A: (dal basso, 31) 2-12-13-1-18/ 24-40-12/ 29-45-7/ 29-29-34/ 2-12-4-40-33/
27-45-7-12/ 27-44-8/ 2-12-6-18/ 31-26-35-2-12-41-19-35/ 1-41-40-7/ 2-12-32-23-38/
39-11/ 2-27-25-10-23-18/ 28-1/ 2-12-31-26/ 2-12-27-27-35-37-21/ 33-23/
2-12-31-26/ 2-27-25-10-23-18/ 28-1/ 2-12-31-26/ 2-12-27-14-32-18-27/ 6-18-17-19/
31-26-12/ 2-12-13-1/ 23-19-35/ 10-3-38/ 2-12-27-27-35-37-21/ 31-1/ 10-3-38
Numerazione delle parole: verso destra: B) 32-33-34-35-36-37-38-39-40-41-42;
svolta a sinistra, verso il centro: d) 43-44-45-46-47-48-49-50-51-52-53-54-55-56-57-58-59-60-61
Louis Godart, dall’esterno, parte finale, gira a sinistra fino
al centro:
Testo B: (da 61) 2-12-22-40-7/ 27-45-7-35/ 2-37-23-5/ 22-25-27/ 33-24-20-12/
16-23-18-43/ 13-1-39-33/ 7-17-1-18 15-22-37-42-25/ 7-24-40-35/ 2-26-36-40/
27-25-38-1/ 29-24-24-20-35/ 16-14-18/ 29-33-1/ 6-35-32-39-35/ 2-927-17/
29-36-
7-8/ 29-8-13/ 29-45-7/ 22-29-36-7-8/ 27-34-23-25/ 7-18-35/ 7-45-7/ 7-23-18-24/
22-29-36-7-8/ 9-30-39-18-7/ 2-6-35-23-7/ 28-34-23-25/ 45-7
Testo A: numerazione unica mia, sempre destrorsa, con le
figure che camminano in avanti, dal centro alla fine: 1-2-3-4-5-6-7-8-9-10-11-12-13-14-15-16-17-18-19.20-21-22-23-24-25-26-27-28-29-30-31
Testo A: (da 1 > 31) 38-3-10/ 1-13/ 21-37-35-27-27-12-2/ 38-3-10/
35-19-23/ 1-13-12-2/ 12-26-31/ 19-17-18-6/ 27-18-32-14-27-12-2/ 26-31-12-2/
1-28/ 18-23-10-25-27-2/ 26-31-12-2/ 23-33/ 21-37-35-27-27-12-2/ 26-31-12-2/
1-28/ 18-23-10-25-27-2/ 11-39/ 38-23-32-12-2/ 7-40-41-1/ 35-19-41-12-2/
35-26-32/ 18-6-12-2/ 8-44-27/ 12-7-45-27/ 33-40-4-12-2/ 34-29-29/ 7-45-29/
12-40-24/ 18-1-13-12-2
Testo B: dall’altro lato, a partire dal centro fino alla lineetta
terminale, molto indicativa; se si osserva bene, infatti vi sono impressi
quattro punti evidenti: 32-33-34-35-36-37-38-39-40-41-42-43-44-45-46-47-48-49-50-51-52-53-54-55-56-57-58-59-60-61
Testo B: (da 32 > 61) 19?-7-45/ 25-23-34-29/ 7-23-35-6-2/ 7-18-39-30-9/
8-7-36-29-22/ 24-18-23-7/ 7-45-7/ 35-18-7/ 25-23-34-27/ 8-7-36-29-22/
7-45-29/ 13-8-29/ 8-7-36-29/ 1-27-9-2/ 33-39-32-35-6/ 1-33-29/ 18-14-16/
35-20-24-24-29/ 1-38-25-27/ 40-36-26-2/ 35-40-24-7/ 25-42-37-22/ 18-1-13-7-15/
33-39-1-13/ 43-18-23-16/ 12-20-24-33/ 27-25-22/ 5-23-37-2/ 35-7-45-27/
7-40-22-12-2
Nel testo A notevole la parola ripetuta due volte 21-37-35-27-27-12-2,
sarà certamente il nome di un personaggio, di una divinità,
composto da una radice (21-37), seguono cinque desinenze: la prima (35),
una doppia (27-27), termina con due altre finali (12-2); potrebbe trattarsi
anche di qualche voce verbale, tipo il cretese L. A (a-)DIK-i-te-te-du-Bu-re
‘hanno danneggiato’ (in -dabure, qualcuno, con uno stralcio
omofonico, ci trova il dapurito- ‘il labirinto’; dapuritojo
potinija ‘del Labirinto Signora’); se consideriamo il luogo
del ritrovamento, la sicura predominanza dei Luvi nel periodo così
antico, possiamo immaginare un sistema anatolico del tipo (--)-(--)-ka-sa-sa-na-ma,
(--)-(--)-ka-ta-ta-na-sa, (--)-(--)-ka-na-na-ta-sa, (--)-(--)-na-sa-sa-ta-si…,
gruppo desinenziale preceduto da due sillabe significanti, la radice monosillabica;
proponiamo esempi, tanto per fornire generiche indicazioni formali: *SI-K-a-na-ta-ta-la-na,
*A-R-e-ka-ta-ta-ra-sa…; *SA-R-a-ka-na-na-ra-sa, itt. MA-R-a-s-sa-n-da,
luvio par-a-t-ta-n-za, ham-su-q-qa-la-ti.…urarteo qaBq-a-r()-su-()u-la-la-ni
‘avevano accerchiato’; notevoli le numerose uscite desinenziali
in -12-2, ci confermano che in sostanza doveva trattarsi di una delle
tante desinenze più note: -na-sa, -sa-na, -n-zi, -n-ti, -la-na,
-ta-re… Considerare anche le parole articolate: 7-45/ 7-45=7/ 7-45=29;
in evidenza, solo se si cammina dal centro verso l’esterno, stessa
radice, più due diverse desinenze, o particelle (-k…); deve
trattarsi di qualche particella introduttiva, o un dimostrativo: na-sa,
nu-za,…na-() “dunque, e..”; oppure ‘questo’…,
‘di questo’…, ‘e/ con/ per questo’…”Questo
qui/è di/ dedicato a/ posto per…”; infine va interpretata
la lineetta trasversale che figura alla base dei seguenti segni iniziali;
potrebbe trattarsi del determinativo I/ uomo, o altro, ad esempio la r, 35r...: A) 35, 26, 1, 26,
26, 1, 38, 7, 18; B) 8, 7, 8, 7, 8, 5.
Anche le finali dovrebbero fornire una qualche indicazione:
Testo A: 10/ due volte; 13/ due volte? 2/ quattordici volte; 31/ due volte;
28/ una volta; 39/ una volta; 1/ una volta; 27/ due volte; 29/ due volte;
24/ una volta (dieci uscite diverse). Testo B: 45/ una volta; 29/ sei
volte; 2/ cinque volte; 9/ una volta; 22/ quattro volte; 7/ tre volte;
27/ tre volte; 6/ una volta; 16/ due volte; 13/ una volta; 33/ una volta
(undici uscite diverse): vanno configurate con la frequenza dei suoni.
Per quanto riguarda possibili indicazioni sul tipo di scrittura, oltre
a scorrere i sistemi antichi, tutti ideografici (v. Alfabetos de Ayer
y de Hoy), ma che si irrigidirono nel cuneo, sarebbe utile osservare anche
quelli con cui si esprimeva l’eteo geroglifico; vi si troverà
un sistema simile, arcaico; certamente una civiltà comune, ma differenziata
tra le etnie, che per esprimersi usava ideogrammi indoeuropei; con il
tempo si verificò, anche nel nostro ambito, lo sviluppo dei simboli,
stilizzati graficamente, ma che rappresentavano ancora barlumi dei disegni
ideografici primitivi (A, B..M, N..); lo scopo da raggiungere era quello
di procedere con maggiore scioltezza per fini pratici tramite veloci alfabeti;
una comoda conclusione di quelle scritture, troppo complesse e imprecise.
Per un confronto con finali di altre lingue propongo
qualche iscrizione:
LUVICO:
dSAN-tas LUGAL-us dANN-a-ru-mie-n-zi ASH-a-nu-wa-n-ta KU-i-n-zi WASS-a-n-ta-ri
LU.MESLUL-ahi-n-za-s-tar HUPP-a-ra-n-za KU-i-n-zi HISH-ia-n-ti
• > dSAN-tas LUGAL-us dAN-a-su-Fie-s-si ASHa-nu-Fa-s-sa KU-ie-s-si
WAS-a-s-sa-si gli uominiLUL-aha-s-sa-s-sas HUP-a-sa-s-sa KU-i-s-si HISH-i-a-s-si
• “Dio Santa, il re, con i dei Anassi/ di AN, di sangue che
vestono, gli uomini LULassa seguono che (vestono) legati.”
LYDIAN CORPUS, text 6:
ess vanas Siwamlis Arma/wlis ak-it qis esL vanaL/ buk esvav qis antolan
buk esv/av laqrisav fensLibid/ fak-av wissis niwissev/ warbtokid
“Questa tomba (è) siwaFli armaFli (*Siwassis *Armassis, ‘di
Siwa, il Lunare’). Ora chi questa tomba, o questa camera, o questo
recinto danneggia, ora il focolare e l’abitazione (gli) brucino.”
Notare wanas, da *F-annas < *FAT-nas, tirseno M-utna.
LYCIAN CORPUS, 13: ebenne xupa mene/ prnnawete Pddazanta/ Xzzubezeh tideimi/
hrppi ladi ehbi se tideime/ ehbije
“Questa tomba qui ha costruito Fdaxanta di Xsubeze figlio, per la
moglie e i figli propri.”
Xupa, per la varianza ks/s, e p/th (tis/ pis/ quis), potremmo accostarla
al tirseno suthi < *suphi, *ku-shi.
C. Consani e M. Negri, TESTI MINOICI TRASCRITTI, p. 217/ 218: atai*301wae
adikitete-()/ ()da piteri akoane A/sasarame unarukanati/ ipinamina siru()
inajapaqa
“Chiunque commetta sacrilegio/ danneggi, oppure rompa l’immagine
di (della dea) Asara, (costui) sia ucciso con il taglio della testa, o
con la corda (impiccato).”
Analisi: ata*301wai, gr. étis án, ó ti án,
etisoûn, otioûn; adikitete(), a- protetica, radice DIK, gr.
a-dikéo, desinenze -se-se(), passate a -te-te(), tipo l’osco
TER-e-m-na-t(e)-te-n(e)-s(i) < *TER-e-m-na-se-se-s-si, lat. TER-mi-na-ve-ru-n-t(i);
()da ‘oppure’(?), gr. kaítoi, dé; pit-e-ri <
*pite-si ‘rompa’; akoane, gr. eikón ‘icona’;
Asasara-me, deriva dalla radice AS ‘luce/ dio/ signore’, con
le tante derivazioni, tuttora leggibili: VES-uvio, ES-tate; con F >
PH interno scopriamo il gr. *eFais-tos > É(ph)ais-tos ‘Fuoco/
Vesuvio’, tirs. VES-ia, lat. VES-ta, gr. ES-tía, tirs. VES-ti-ri-ci-na-la
< *FES-ti-ri-si-s-sa ‘per l’accoglienza nel focolare’,
ASia ‘(terra) del Sole’; ma, se la cerchiamo lontano, ecco
l’ittita AHHijava/ ACHaivia/ *ASija ‘paese degli Achei’
(s > ch/k/h), il lidio AS-nL ‘ad Atena’, con il gr. ATH-e-nâ,
per *ASena; LIA, 4, osco: Fetenis kam Asanas Metapontinas sup medikiai
Aoudeieis “C. Vettenio Cam. (pone, offre) ad Atena metapontina,
sotto la magistratura di Audio.” (V. Pisani, Le lingue dell’Italia
antica oltre il latino, LIA, p. 49; nota: laconico Asánas, Asanân
= Athenôn); eteo GAL.SALLUGAL HA-Su-s-ras ‘granderegina Assara’
(P. Meriggi, Manuale di eteo geroglifico, Testi - 2a e 3a Serie, p. 254);
unaru-kana-ti ‘si uccida’, gr. apo/epi-kTeíno ‘uccido’
(T infisso), itt. kuen-zi ‘uccide’ < *kuene-si ; ipinamina,
gr. epinémo ‘divido, taglio’; siru(), gr. kára
‘testa’, káre(ti) < *kare-si (s > k, s > t);
inajapaqa, inaja-pa-qa ‘con la corda-e-oppure’; gr. enía
‘corda > briglia’, miceneo anija-pi, strumentale plurale
(J. Chadwick, Lineare B, p. 129).
Il lettore, a questo punto, anche con altri confronti,
può spingersi a comporre un testo qualunque; ma per trarre i significati
non immaginari, occorre un’opera di cesello: mettere nel posto giusto
la sillaba giusta per risalire al valore verbale di ogni termine, quello
proprio che lo scriba aveva voluto indicare.
Angelo Di Mario
N.B. Articoli depositati presso la S.I.A.E, Sez. O.L.A.F; pubblicati su Symposiacus Anno XXXIII - N. 4 - Ottobre- Dicembre 2003, e su Anno XXXIII Supplemento al N. 4 Dicembre 2003; inoltre acquisiti agli Atti dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
|
|